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LA NATURA – L. 3° - 46 – 165

 

Nel bel mezzo dello mes’ d’aprile

Un orrido prodigio comparve nell’ovile.

Generato avean le bestie in modo disumano

Figli belanti con il capo umano.

Il pastore l’osservò e fu sgomento,

Perciosiacosaché molto pensò sull’argomento.

In prima istanza ricorse all’indovino,

Un figlio d’eparchìa suo vicino. [eparchìa = provincia]

Il mago fu contento e dié la spiegazione:

<Essere in gioco la testa del padrone!

S’impongon sacrifici a deprecare il rischio,

Ma falli tu, ch’io me n’infischio>.

Il pastore amareggiato andò dallo stregone

Sperando d’ottener più proba spiegazione.

Fu pronta la risposta e quasi onesta:

<Trattasi – disse – per quanto a me mi consta,

Le capre son  per l’adulterio scaltro,

E i figli lor, pertanto, sono d’altro.

Devi pertanto fare sacrifici a iosa

Per placare l’ira della dea gelosa.>

Al pastore stupito e non contento

Raddoppiò l’angoscia momento per momento.

In quella fattoria Esòpo s’aggirava

E fu colpito dalla storia grava.

Avea ‘l vecchio un fiuto fino fino,

E chiese di parlare al poverino.

<Uxores – inquit – da tuis pastoribus>. [dai moglie ai tuoi pastori]

Anche al tempo d’oggi s’odon molte ciance

E la storia si ripete con piene le pance.

“Lo mismo” nota spesso Benedetto

Alludendo alla morale del fatto su predetto,

Ma non arriva al “dunque” sebben sia arrabbiato,

Forse perché ‘l tempo non è ancora arrivato

Per dare alli pastori sui

La gnocca che fariali ser mùi [ser mùi = stare zitti].

Frattanto di nascosto fan li fatti

Sebbene ma nessun li chiami piedi piatti.

Qual è dunque la soluzione del rebùs?

Uxores da, rex, tuis pastoribus.

 

Fine. 

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