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ACQUA E FUOCO

 

Nell’anno milleuno del Nostro Signore

A cui facciam memoria qui ed ore,

Successe in la foresta, da fosca previsione,

Un vasto incendio senz’alcuna previsione.

Di sotto le capanne scappavan li famigli

Con vacche, capre, galli e figli.

Andavano a cercar nuovo rifugio

Per mettersi al sicuro dal foco rugio.

Passeri, Nandù ed Elefanti,

Picchi, Cicogne e Serpenti,

Correan tutti quanti a rompicollo

Senza tentar nemmeno di girare il collo.

Fra tutti lori si scorse la Libellula da’ colori scocchi.

Calossi in un pantano agitando ali e occhi.

Raccolse tra le zampe anteriori torte

Una goccia d’acqua e se la tenne forte-forte.

Così verso l’incendio s’avviò con arte

Sperando di domarlo almeno in parte.

A vederla, il leone con voce delicata,

Si rivolse alla fragile sconsiderata:

Perché vai tu, piccola e inerme, incontro al rogo?

Vorresti tu con una goccia spegnere il foco?

Ma l’animal degli Odonati gli rispose ad arte:

Io? Faccio solo la mia parte!

Se ogni fedel com’io sua parte face,

Potria il Mondo tutto già stare in pace.

Purtroppo ne li giorni a noi vicini,

Quanti lavori mal fatti fûro, grandi e piccini!

Ognuno allor si batta il petto e si ripeta invece:

Io? La parte mia non feci!

E se coscienza tiene almeno d’una spanna,

Ripari il danno per non subir condanna.

Checché detto si sia, ci risponde la natura

Co’ suoi disastri che ci fan paura.

La guerra preventiva fu un gran torto per li umani,

E la natura ci ripaga con temporali, alluvioni e tzunami.

I fiumi ricoperti e soffocati

Risppondon per le RIVE a tai malcapitati.

A concluder esto mio concion a’ vivi,

Mi rendo conto che questa è la setta de’ cattivi

A Dio spiacenti e a li nimici sui.

LA STORIA NON PERDONA A NUI.

 

Fine.

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