Articoli

3. PARTE TERZA (Una Vita da raccontare).

Delegato “Aspiranti d’A. C.”

 

Ripercorriamo gli anni dal ’50 al ’55, caro amico lettore, per leggere l’altra faccia della medaglia. Per iniziare, rompo il ghiaccio con un affondo pedagogico. Papa Albino Luciani, in uno dei suoi incontri nella Sala Nervi, ebbe un breve colloquio con Maurizio, un ragazzo di 10 anni, al quale manifestò la sua stima con sorrisi e carezze. Terminata l’udienza, Maurizio restò di là della balaustra durante l’attesa che il padre sarebbe andato a riprenderlo. Nel frattempo, mentre la folla usciva dalla Sala, molte persone fecero a gomito per accarezzare a loro volta Maurizio. Ho raccontato l’aneddoto per sostenere che in pedagogia l’educazione non verbale e paraverbale, incide per il 92% come elemento formativo, a fronte dell’apprendimento quasi ininfluente fatto con le parole, solo 8%. In Natura, ogni minima variante trasforma la materia in qualcosa di diverso. Tutto deve procedere su un filo di rasoio. Il corpo umano ha solo mezzo grado di temperatura a disposizione entro cui può star bene. La gravità ci mantiene saldi al suolo, ma se la sua forza fosse appena più elevata, resteremmo incollati a terra. Riducendo il nostro Pianeta alla grandezza di una biglia, peserebbe 6000 miliardi di miliardi di tonnellate. In Pedagogia, ogni minimo dubbio, ogni indecisione, ogni colpo mancato, può distruggere l’educando fino a renderlo irrecuperabile. Bene assestato però, può farne uno scienziato, un genio, o un santo. Con la Religione, la questione è ancora più delicata, e l’affronteremo in seguito.

Adesso devo tornare a me, e raccontare il prosieguo della mia vita. Raggiunto i 15 anni, il parroco don Giuseppe, volle che io insegnassi catechismo ai bambini, tutte le domeniche, dalle 15.00 alle 16.00, ed io svolsi questo compito con coscienza e puntualità. Fu la prima esperienza in campo educativo, e asserisco la verità, mi sentii naturalmente portato verso tale professione. In quel periodo, nella parrocchia di Trinità funzionava discretamente l’Azione Cattolica secondo gli orientamenti di Pio XII, 1939-1958. N’era Assistente il prete giovane. Il Consiglio Parrocchiale di Azione Cattolica, positivamente influenzato dalla mia esperienza catechistica, mi nominò Delegato Aspiranti. La mia attività consisteva nel guidare un gruppo di una dozzina di ragazzi per istruirli sulle modalità dell’A. C., insegnare canti, partecipare insieme alla Messa Domenicale, compiere brevi escursioni, insegnare religione oltre il  Catechismo di Pio X, partecipare a convegni, a feste, e altro, in capo parrocchiale e diocesano. M’impegnai molto profondamente in quest’attività, fino al punto da sollevare dubbi sulla validità o meno di certe impostazioni, e non evitai per niente il mio tocco personale. Riguardo al primo punto, avrei desiderato uno o più referenti per colloquiare sul da farsi, e decidere poi insieme. Purtroppo mi trovai solo, e l’impostazione personale si acuì fino al punto da non ascoltare consigli altrui e procedere a modo mio. Ciò non mi piaceva; ma di fronte alla disperazione, c’erano solo due possibilità, o lasciare tutto, o continuare secondo il mio stile.

Un poco alla volta, avevo convinto i miei Aspiranti, sull’utilità della confessione settimanale, come a quei tempi era di moda. Il prete giovane di Trinità era talmente ridicolo e stupido, che io non solo, non lo presi in considerazione, ma lo esclusi a priori. In questo periodo si consolidò in me quell’impegno d’amore e di comprensione verso i piccoli, che hanno caratterizzato il resto della vita, e mi hanno dato la possibilità di concretizzare il mio pensiero educativo nelle 35 Lezioni di Pedagogia In difesa dei Giovani, pubblicato anche in web. Ormai al terzo anno della mia attività, coincidente con il terzo anno al Nautico, la mia fama si era alquanto propagata in Diocesi. Ero valutato attivo, intraprendente, ligio, da una parte; severo, rigido e non accondiscendente, dall’altra, a causa di quel mancato incontro con un confidente che segnò l’inizio della mia attività. Lo ammetto, ma si trattava di un fuoco di paglia, e svanì poco dopo per passare all’eccesso opposto, di cui sarà presto parola. Intanto il “Delegato Diocesano Aspiranti” dovette lasciare per motivi di studio. Si trattava dell’attuale cardiologo Franco Maresca. Fu lui a darmi consigli vari e indicazioni precise sull’attività da svolgere, essendo stato io chiamato al posto suo. La sede diocesana dell’Azione Cattolica si trovava a S. Agnello, esattamente dove ora è stato allogato l’Ufficio Postale. Assistente Diocesano d’A. C., era don Giuliano Macèro, intorno al quale ci soffermeremo a tempo debito. Tuttavia, a prima vista non ricevetti da lui una buon’impressione, eppure dovevo averci a che fare per forza. Ritorniamo a Trinità. Nel mese di febbraio d’ogni anno, o in tutti i casi sempre prima di Pasqua, si celebravano le Quarantore con una solennità unica. Si esponeva l’Ostensorio su un trono dorato sopra la custodia, a cui si accedeva tramite una scala fissa dietro l’altare. L’esposizione durava otto ore al dì, per cinque giorni di seguito. Si alternavano turni d’adorazione con preghiere e canti. Si genufletteva con entrambe le ginocchia a terra. In brevi parole, le Quarantore erano un’apoteosi, tanto che di fronte a come si realizzano oggi, posso ben dire che la farfalla è diventata bruco. Su questo sfondo di decadenza, portato fino alla malcreanza nei riguardi del Creatore, se avessi potere, dal 2008 sopprimerei le Quarantore. Per quanto mi riguarda, è meglio non fare proprio niente, piuttosto che dare uno schiaffo morale all’Onnipotente Signore. Mi sono sfogato e mi sono riposato. A Trinità dunque, si procedeva così: Messa Solenne il mattino, turni d’adorazione, lungo la giornata, e di pomeriggio, Vespri Solenni, Predica e Benedizione Eucaristica. Per cultura di chi legge, la Messa vespertina verrà dopo il Vaticano II. Nell’anno in questione, per le cinque prediche pomeridiane fu invitato un prete di cui non avevo mai sentito parlare, un certo don Oreste Forcella. Pensando al pistolotto, quasi offensivo per Dio e per i fedeli, solitamente tenuto dal nostro prete giovane, mi sedetti quasi annoiato, se non altro per conoscere l’uomo. Al suono della campanella, con una cotta smagliante ed una stola preziosa, don Oreste si avviò al pulpito attraverso la navate centrale. Dopo il segno della Croce e l’Ave Maria, iniziò la predica.

L’Oratore aveva una voce tra il tenore e il baritono. Parlava in modo chiaro, semplice e profondo. Il suo discorso non durava meno di 40 minuti. Affrontava problemi di dogmatica, di morale, esegesi, storia, oltre a dare affondo ad argomenti particolari, quali fede, verità, grazia, Eucaristia, Messa. Per farla breve, al termine del primo giorno, entrai in sagrestia e baciandogli la mano, dissi: Sono rimasto molto contento della sua predica, grazie. Feci così per 4 sere. Alla quinta, mi trattenne la mano e aggiunse: Abito a Villa Fiordaliso. Ogni sabato vengono a casa alcuni giovani per la confessione e per una conferenza. Puoi venire anche tu! Il sabato seguente ero lì anch’io. I presenti passavano a turno nella “cappellina” privata per la confessione. Il colloquio non era breve e non aveva tanto lo scopo di accusarsi di chissà quali peccati, quanto di rendere il giovane disponibile all’ascolto della Parola dello Spirito Santo espressa dalla voce del confessore. Peccato, penitenza e ubbidienza erano i chiodi fissi che il padre martellava lentamente, ma sempre più profondamente nella psiche del giovane recapitato. Questo però, non lo capii subito; perché ci volle del tempo, e non poco.  A me interessava avere un confidente serio ed onesto, e lui lo era. Confessai il mio desiderio di un direttore spirituale come guida sicura, e ci piansi perfino. Le conferenze poi, erano assolutamente apprezzabili ed interessanti, condotte con una logicità impareggiabile, sì, ma quando le allungava troppo nel tempo, a volte, diventavano una noia mortale. Per me era tutto nullo, a fronte della libertà di esprimermi e di chiedere consiglio. Insomma ero così felice da morire, ed incominciai ad accostarmi quotidianamente all’Eucaristia. Non mancarono tuttavia, alcune scaramucce dialettiche tra me e don Oreste. Desideravo che si abolisse la parola “perfidi” ebrei, pronunciata durante la preghiera del Venerdì Santo. Avrei voluto che si abolisse la “purificazione della puerpera”. Non ero convinto dell’esistenza del Limbo e chiedevo chi e perché l’aveva inventato. Per i miei gusti, queste tre imprecisioni religiose suonavano come un’offesa al Creatore e lo presentavano in modo poco apprezzabile. Come avrai già capito, caro lettore, fu una lotta impari. Il padre rimase esterrefatto e incredulo, innanzi a tanto osare da parte mia, fino a mormorare tra le righe la parola “eresia”. Le sue lunghe argomentazioni per dimostrarmi il contrario non mi convinsero. In ogni caso, decisi di soprassedere e tacqui. Prima, non erano affari miei. Secondo, a me interessava tenermi caro un referente qualificato per consigli spassionati e indicazioni d’altro genere. Ho aspettato a lungo, ma la mia lungimiranza è stata premiata da ben tre Papi: Giovanni XXIII, Paolo VI, Benedetto XVI. Quello che pensavo era tutto vero. A questo punto le dimostrazioni del padre si rivelarono completamente labili ed inconsistenti. Grazie Papi.

Avevo convinto infine, i miei Aspiranti d’A. C. a venire con me il sabato, a Villa Fiordaliso. Si trattava di percorrere più di2 Kma piedi per andare, e altrettanto per tornare. Ci spostavamo lì per un’attività religiosa, ma il gruppo in movimento aggiungeva quel tocco pedagogico che bene entrava nell’ambito formativo previsto.

 In quei tempi si camminava quasi ad occhi chiusi; si poteva incontrare al massimo, un camion sgangherato carico di merci, una Balilla nera, e due carretti trainati da somari con un padrone che ragionava con loro ad alta voce. Per i primi tempi tutto andò liscio come l’olio. Con il passare delle settimane, il padre spirituale incominciò ad allungare il brodo dei suoi discorsi, e per questo si tornava a casa a notte inoltrata. La lunghezza poi, divenne nemica della comprensione. Le insistenze per una vita da vivere con pretese fuori tempo, spinsero i miei alunni a defilarsi uno per volta. Rimasi di nuovo solo, ma non mancavo nessun sabato agli appuntamenti. In questo periodo svolgevo anche l’attività di Delegato Diocesano Aspiranti. Di tutto questo, io non ricordo assolutamente niente a causa di quel certo Macèro G., cui ho fatto cenno. A odore di naso, mi sembrava deluso per qualcosa che gli mancava, e nello stesso tempo desideroso di qualcosa a cui aspirava e che non poteva ottenere. Così il mio impegno fu quasi nullo, ed oggi ho addirittura cancellato dalla memoria quel periodo, pertanto non posso nemmeno descriverlo.

Sull’altro versante c’era don Oreste F. che aveva molte simpatie per le penitenze. Le faceva lui e voleva imporle agli altri, ma nel darle perdeva il cliente. Era convinto che alla santità si potesse giungere senza cultura, contrariamente a quanto pensavo io. Era attratto dall’ubbidienza cieca. Sì, è vero ma praticata dagli altri. Non ho mai capito lui a chi ubbidiva. Aveva la parola facile nella predicazione, ma era fermo al Concilio Tridentino e forse prima. Non che è male, ma anche Paolo e Agostino vanno aggiornati. Il Vangelo, a sua volta, va letto ed interpretato con occhi nuovi, e non vedo motivo e necessità di dare in pasto al popolo la lettura della Bibbia, senza un onesto commento. La Parola di Dio, ispirata ed infallibile, si può capire solo dopo aver conosciuto l’Essere Supremo nel suo manifestarsi e dopo averne compreso i motivi. In questa prospettiva, avrei potuto lasciare andare tutto all’aria, ritirarmi in buon ordine, terminare gli studi e prendere la via del mare. Qualcosa però o qualcuno, m’impediva di decidere in questa direzione. Osservando tale periodo con gli occhi d’oggi, mi accorgo che la Bella Signora, tenendo in mano il timone della mia vita, ne stava orientando lei stessa l’esistenza nella direzione che a lei piaceva. No, non si può dire e non risponde al vero ridurre tutto questo ad una semplice coincidenza naturale. Dovevo subire la prepotenza materna della Signora. Per parte mia, non opponevo resistenza, e mi rendevo docile come una piuma al vento. Il fatto negativo, per me, fu questo: lo sforzo psichico, mi rese irascibile e imperioso.

La mia povera mamma subiva con pazienza e amore le mie esternazioni. Bastava una sua parola, un suo lamento, e oggi io non mi troverei qui a raccontarlo, ma non lo fece!

Intanto ho terminato il quarto anno e devo andare in quinta, a prepararmi per l’esame di Stato. Otterrò il titolo di Ufficiale di Macchine per la carriera, da Allievo a Direttore, sulle navi mercantili. Un’altra sorpresa era in agguato.

Ormai erano gli ultimi giorni per l’iscrizione al quinto anno. Quel mattino di settembre, il Sole splendeva da poco, e mio padre si trovava stranamente in casa, sul piccolo terrazzo, in piedi e appoggiato al muro del minuscolo bagno. Mia madre, nei pressi, vicino al focolare, riscaldava l’acqua per la liscivia. Ad un certo punto, rosso in faccia e con il cuore in gola, dissi: Dovrei iscrivermi e non c’è più tempo. Mio padre, tra il serio e il faceto, rispose: Non ho soldi. Vai a lavorare. Mia madre si girò allibita. Lo guardò, sorrise e aggiunse: Dàglieli, che è l’ultimo anno. Babbo tirò fuori quel biglietto enorme da 10.000 Lire e me lo porse senza parlare. Sono certo che lui si cavò un dente, e mamma rinunziò ad un boccone. Quei soldi erano per la nostra vita, di tutti noi, perciò dico Grazie ai genitori, e ripeto Scusate agli altri figli, che per loro non ci fu niente. L’iscrizione al quinto anno, non penso e non posso credere che si tratti di un’altra circostanza capitata per caso; no, era scritto in Cielo. La Signora n’era informata, e fece la sua parte, spingendo ognuno di noi a fare la propria. Grazie, anche a lei.

La continua insistenza sull’intervento superiore può sembrare al lettore, una mania o fissazione, come dir si vuole. No, non è così, e spero di dimostrarlo. Intanto avverto che quello che avverrà in seguito, è ancora più allucinante, rasenta il miracoloso. Trovandomi nell’occhio del ciclone, potevo essere trascinato verso una ridicola umiltà, o all’opposto, verso una superbia camuffata; ma non fu e non è così, la ricerca della verità in tutti i campi, mi evitò i due estremismi. Il vero, riflettevo allora, e ripeto oggi, non si elogia e non si deride, ed io sono qui per descriverlo.

L’anno scolastico 54-55 trascorse rapidamente. I contatti con il direttore spirituale avvenivano regolarmente. Ero diventato docile, accettavo le sue proposte, vedevo il mondo in rosa. I colloqui, le confidenze, le ansie, tutto me stesso, avrei voluto comunicarlo a mia madre, ma lei taceva e pregava. Il 1955 iniziò, come tutti gli anni, con l’Epifania, e a seguire, la Candelora, S. Antonino, le Quarantore, la Primavera e Pasqua. In una di queste circostanze, o chissà in quale altra, durante la confessione, don Oreste, con un discorso magistrale, mi rivelò la sua convinzione maturata, che io ero destinato al sacerdozio.  Alla chiamata del Signore, continuava, bisogna rispondere senza indugio, e lanciarsi nella mischia a gloria Sua. Il padre era sicuro di ciò che affermava, e proporlo in confessione, aumentava il pregio della comunicazione. Da parte mia, non disdegnai l’invito. Si trattava, perbacco, di una prospettiva allettante, anche se fuori delle mie previsioni. Dovevo dimenticare le conoscenze passate? Integrarle con le altre, o aggiungere nuova erudizione?

Si trattava di allenare la mente per altri 6 anni a venire. Dimenticare non volevo, integrare era impossibile, dunque dovevo aggiungere. Solamente la parola “chiamata”, mi dette da pensare in quel momento, e mi fece innervosire in seguito. Tornai a casa senza rendermi conto se ero ubriaco o esaltato.

A mamma non dissi ancora niente, ma lei sospettò una qualche sorpresa. La ringrazio per la comprensione. Adesso sfido chiunque a dirmi se con quest’idea in testa, potevo trarre dallo studio il massimo profitto. Finalmente il 6 giugno festeggiai il mio compleanno, e subito dopo sedetti in aula per l’esame di Stato. Sorpresa! Fui rimandato a settembre in Elettrotecnica e Macchine. Vergogna! Proprio le due discipline che erano oggetto della mia specializzazione! Allora mi dispiacque. Oggi, invece, interpretando il fatto con il senno di poi, posso azzardare che fu un avviso del Cielo. La Signora voleva comunicarmi che non ero fatto per intraprendere quella carriera. Perché? Avrei potuto raggiungerla in Paradiso anzitempo, come avvenne per molti amici coetanei passati a miglior vita. Sì, e con le lezioni private estive, come la mettiamo?  Di certo non potevo permettermi un prof privato per la preparazione, e per giunta su due discipline non comuni. A casa non lo accennai nemmeno per non procurare un colpo a mia madre, che si sarebbe dato i morsi sotto i gomiti per accontentarmi. Ero in crisi! Mi rivolsi alla Bella Signora, e in un concitato colloquio, anzi soliloquio, le chiesi di non lasciarmi senza il suo aiuto proprio adesso.  L’ultima sfida fu questa: Hai fatto sempre tu, mia Signora, adesso voglio io, che tu agisca di nuovo, e presto! 

A questo punto, prima di continuare, fa d’uopo aprire una parentesi. Quell’anno, era Preside del “Nino Bixio” l’ing. Alberto Carino. Veniva da Napoli, o forse da più lontano. Per evitare di andare avanti e indietro, ogni giorno, tra casa e scuola, si fece allestire un appartamento sulla facciata dell’Istituto che guardava a Mezzogiorno. Viveva lì con la sua gentile Consorte, per motivi d’età e di deambulazione, credo io. A piano terra, sulla stessa verticale, si trovava la casa del custode. Appena terminato l’agitato discorso con la Signora, un bagliore di luce illuminò la mia mente: Il Preside Alberto Carino!  Senza por tempo in mezzo, corsi a scuola, mi feci annunciare dal portiere, e il Preside mi ricevette. Rosso in viso, e con gli occhi gonfi di lagrime, alla presenza della Moglie, gli esposi il mio problema e il mio desiderio. Chiedevo la preparazione senza un riscontro economico. Come se gli avessi fatto un complimento, il Preside si alzò, mi strinse la mano e disse: Da domani, all’ora tot, tutti i giorni, tranne il sabato e la domenica, trovati qui. Ti guiderò fino all’esame. Tra l’ing.Carino e la Moglie, non seppi capire chi dei due era più contento. Questo sì, lo raccontai a mia madre, e lei: Figlio mio, quello che fai tu, sta tutto bene!  L’estate passò in compagnia del Signor Preside e della sua gentile Metà, che mai dimenticò il caffé durante la lezione. L’esame di settembre pose fine ai miei incubi. 

Il Diploma d’Abilitazione alla guida delle “Macchine”, sulle Navi Mercantili; e la relativa carriera d’Ufficiale, mi rese euforico. Ritornai dal Preside con un mazzo di fiori per la Moglie, scusandomi che non potevo fare di più per il momento. Volevo almeno baciargli la mano, ma lui non me lo permise a causa di un ceffone che mi tirò con la sinistra. Sua Moglie mi abbracciò e così finì il mio contatto con il Nautico. No, non finì. Poi vedremo come e perché.

Da allora, passando per oggi, e fino all’ultimo, la mia gratitudine per il Preside ing. Alberto Carino, sarà per me un punto d’orgoglio e d’onore. Credi tu, amico lettore, che si tratta sempre di coincidenze accidentali? Non si vede una mano superiore che guida la mia esistenza? Nulla a che vedere con la predestinazione, come imposizione aprioristica dall’alto, inconcepibile per il Supremo Ente e offensiva per la creatura, piuttosto è una disposizione umana a lasciarsi condurre dalle circostanze della vita, non richieste e non rifiutate. In altre parole, chi si predispone ad essere una piuma al vento, riceve l’aiuto necessario (la grazia di stato) in quanto non è lui che decide, che vuole, ma benedice la mano di chi lo guida. In tal modo il soggetto vive in sincronia con il datore della vita. La preferenza dunque, non è nei Cieli, ma l’attira chi si mette nelle condizioni di riceverla. In nulla, più di questo, consiste la santità, altrimenti il Divino Maestro si è mostrato inconcludente suggerendo: Siate santi!

Abbiamo dunque finito? Assolutamente no! Il mattino di un bel giorno d’ottobre, il portalettere chiamò in modo insolito il nome di famiglia. Mia madre si precipitò al portone, prese la missiva, e ritornò sopra con una CARTOLINA. Lessi, rilessi, le mani si agitarono e non capii lo stesso. Mia madre se n’accorse, e mi chiese la ragione. Come spiegare a lei ciò che nemmeno io intendevo? Accademia, Modena, Carriera Militare, Esercito, appuntamento, eccetera. Come fecero essi, in Padania, a conoscere il mio nome? Certo non da me! Chi mi aveva indicato? Era una prova celeste per me? In che senso? In questi frangenti, proprio ora, avrei desiderato una buona discussione in famiglia, ma non era possibile. L’unica cosa fattibile fu quella di rivolgermi nuovamente alla Signora per importunarla con un altro consiglio. Il lume fu: Corri dal tuo padre spirituale. Come successe all’altro, disarcionato, e cadde da cavallo 2000 anni fa, come ora io: “Corri da Anania, e ti aprirà gli occhi”! Con lui tutto divenne chiaro. Avevo ricevuto la “Cartolina Precetto” per prestare il servizio di leva presso l’Accademia Militare di Modena. Chiedendo il fermo nella scuola, mi sarei laureato e avrei iniziato la carriera nell’Esercito. Don Oreste fu di poche parole. Mi diede i soldi necessari e mi spedì all’Istituto Navale di Napoli per iscrivermi al primo anno di corso per la laurea in Ingegneria Navale. Andai, tornai, e spedimmo la pratica per la sospensione del servizio militare, con la motivazione: ”Studi Universitari in corso”. A questo punto non poterono mancare le mie riflessioni. Ho fatto bene? Mi troverò male? Con la preferenza dell’Accademia avrei fatto carriera nell’Esercito, è vero, e oggi potrei essere colonnello, generale o capo di stato maggiore, tanto per mantenermi modesto. Se mi avessero spedito invece, in uno dei punti caldi del Mondo per mantenere la pace tra la guerra, sarei tornato vivo o nella bara? Ero libero di scegliere, ma preferii la soggezione. Potevo intestardirmi, ma non lo feci. Sarebbe bastata, tuttavia, una mezza parola di mia madre per decidere subito di conseguenza, ma lei tacque. Allora bisogna ritornare all’intervento magistrale della Signora, che mi fece trovare un direttore spirituale adatto alla bisogna, al suo decidere violento, alla sua richiesta di accedere alla carriera ecclesiastica.

Un giorno, presi il coraggio a due mani, e spiegai ai miei genitori la decisione d’intraprendere la carriera ecclesiastica. Nessuno di loro proferì parola. Presi la risposta come un “sì” e procedetti nel mio intento. Conclusione: i genitori sarebbero rimasti ancora per 6 anni a tirare la carretta e a stringere la cinghia. Mi dispiace, e mi scuso con loro, ma in Cielo era scritto che dovevo procedere in questo senso perché alla fine dovevo assistere mia madre in tutti gli anni della sua infermità. Qualunque altra via avrei imboccato, non ci sarei riuscito, e lei invece se lo meritava. Era una santa, e gli dovevo tutto questo e di più, per ordine della Signora.

Vediamo adesso come si risolse un nuovo problema che si affacciò alla ribalta. Per arrivare al sacerdozio, avrei dovuto frequentare il Seminario Regionale Pio XI di Salerno. Era Arcivescovo di Sorrento, S. E. Monsignor Carlo Serena. Quando don Oreste mi presentò, lui ed io, entrammo subito in sintonia, con un primo sguardo, come un colpo di fulmine. Quando tornai a casa mi misi a pensare. Avevo a mia disposizione un diploma nautico, ero ferrato in italiano, conoscevo l’inglese e il francese, mi erano familiari matematica e geografia. Lo studio delle Macchine e dell’Elettronica, ripetute con il Preside, avevano acuito in me il problema pedagogico. In che senso? Sapevo che occorreva un certo combustibile, che bisognava oliare sistematicamente, era necessario rimanere al controllo; mi era noto come aumentare o diminuire la velocità, il sistema per eliminare le scorie e come riparare i guasti. Infine, avevo chiaro come ottenere il massimo rendimento. Continuai a pensare. Dalla precedente proposizione, se tolgo la parola “macchine” ed inserisco “uomo, o fedele, o personalità, o psiche”, sono già nel campo pedagogico e psicologico. In conclusione?

Aggiungendo a tutto questo, come ciliegina sulla torta, la teologia, diventerò un maestro di primo ordine. Così pensavo, almeno!

Prima di entrare nel Seminario di Salerno, avevo bisogno come minimo di conoscere le basi d’alcuni nuovi elementi tra quelli che dovevo aggiungere alla mia nuova cultura. Ad esempio, filosofia, morale, greco, e teologia. Di quanto tempo avevo bisogno? Come? Dove? Da chi andare? Altri sussulti mi facevano paura, e nuovi dubbi mi procuravano tremore. Non ti agitare, che penso io a tutto! Mi sembrava di ascoltare dalla Signora. Mia madre, tra l’orgoglio ed il riserbo, m’incoraggiava con un sorriso. Quale fu la soluzione suggerita dalla Signora?

A Meta, non lontano dalla Basilica del Lauro, abitava don Franco Castellano, filosofo e teologo molto stimato. Fu lui a seguirmi per l’intero anno scolastico 55-56, dandomi lezioni di filosofia, di morale e teologia. Anche per lui non ci fu un riscontro economico. Di don Franco conservo un ricordo bellissimo e gli sono grato per sempre con Grazie Mille!  Dopo il Preside Carino, fu il secondo maestro a modellare, rieducare, riempire la mia mente di nozioni nuove, fino allora per me estranee. Lo ascoltavo con piacere perché esponeva la disciplina con chiarezza. Il dilemma, l’argomentazione, il ragionamento, la filologia, la semantica, l’esegesi, insomma mi rese tanto esperto, mi spinse tanto all’avanguardia, che incominciai a filosofeggiare per davvero. Al termine lo ringraziai con un fiore. Gli dico oggi e sempre: Grazie Mille!

Per lo studio del latino, mi fu indicato quel certo don Giuliano Macèro abitante nella zona.  Premetto che il latino per me non era nuovo. Dovevo approfondire solo qualche parte che mi era sfuggita, dopo 5 anni dalle Medie.  In realtà, già non andavo con piacere, ma quando un giorno lo trovai seduto scompostamente assai, lo spettacolo non mi piacque per niente, e mi licenziai. Studiai per conto mio.

L’estate del ’56 passò in questo modo. Prima di tutto si dovette preparare la vestizione. Si trattava di una simpatica funzione in cui il candidato saliva nell’abside, si toglieva una giacca o una maglia, e indossava la veste talare. A dire la verità, non ci stavo male sotto, snello ed aitante com’ero. Da dove piovvero i soldi per le due sottane, una per l’estate ed una per l’inverno, ancora non lo so. Ci voleva ancora, la zimarra, il cappello, una specie di velo per le spalle, e nemmeno questo soldi so come me li procurai. Una cosa la so di sicuro: una signora mi regalò il mantello di lana di suo zio prete, defunto. Non basta. A Salerno c’era da pagare la retta, la tassa d’esame e i libri che ordinavano i professori. Don Oreste mi confermò che la Curia di Sorrento si sarebbe interessata del mio mantenimento in Seminario per 5 anni, il corso filosofico superiore e i 4 anni di teologia. Mia madre, con sacrifici e lavoro, mi preparò un buon materasso di lana, non essendo una suppellettile fornita dal Seminario. Nel giorno stabilito, nel mese di settembre 1956, con l’automobile di un amico di famiglia che ci accompagnò, mamma ed io partimmo per il Pontificio Seminario Regionale Pio XI di Salerno. Dopo la sistemazione, mia madre e l’amico, tornarono a casa. In quel tempo, l’Autostrada A3 non esisteva ancora.

Della vita di Seminario sarà parola nella “IV parte”.

 

 

Fine della III parte. 

Traduzione

Italian English French German Portuguese Russian Spanish

Orologio