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10. PARTE DECIMA (Una Vita da raccontare)

Casa e Famiglia


P.91

Casa e Famiglia, due parole semplici da capire e naturali da possedere, eppure sono diventate le grandi questioni della mia vita. Per ottenerle ho impegnato onore e denaro, ma l’esito è stato sempre fallimentare. Non sono dispiaciuto, non le rimpiango, è vero, ma ora che non più motivo, né desiderio di possederle, voglio almeno ripercorrere il tempo che fu, poiché sicuramente ho da dire un grazie a qualcuno. E’ un’occasione, inoltre, per riconsiderare il modo con cui il Creatore interviene nelle cose umane, e nello stesso tempo approfondire la mia disponibilità a cogliere la palla al balzo, e se è il caso, a dispormi come una piuma al vento per il tempo che mi resta. Conoscere il pensiero dell’Onnipotente Signore, significa anticipare l’ingresso nella vita eterna. Il che, comporta, a non condividere la mentalità erronea del Mondo, e il suo ordinamento eterodosso. Il che, pare ovvio. Essere fuori del Mondo, dunque, significa entrare nella vita eterna, e di conseguenza, partecipare alla grazia e alla santità del Creatore. Nell’eventualità che ciò significhi siate santi, è una meta assai semplice da raggiungere; e non vale la pena riderci sopra, come dopo avere sentito raccontare una barzelletta. A questo punto, mi viene in mente “Matteo 20”, in cui si racconta che il regno dei cieli, è simile ad un padrone che esce da casa in varie ore del giorno, a chiamare gli operai per la sua vigna. Il fatto, in genere, è interpretato come un argomento sociologico, e si pone l’accento sulle due realtà “giustizia e amore”. Veramente, la questione sembra un po’ diversa. Vuol significare che nella storia del Mondo, non esistono tempi privilegiati per conoscere il Creatore, grazie all’intelligenza naturale, concessa con la nascita ad ogni umano. In ogni periodo storico, pertanto, è possibile raggiungere la santità. Paolo e Agostino, Francesco e Domenico, Pio e Teresa, sono i vari periodi storici, come le ore del giorno in Matteo, in cui si può pervenire all’intimità con il Creatore.

Con il senno di poi, devo considerare due particolari: mia madre non mi ha mai incitato a possedere una casa tutta mia, e la Signora me lo ha sempre impedito. Non che io ne sono risentito, ma lo annoto con orgoglio, per aver saputo coltivare in me il senso della disponibilità, interpretando le circostanze della vita come un dito che m’indicava la strada da percorrere. Maria e Giuseppe, non andarono a Betlemme per un loro prurito, ma si mossero per un preciso ordine dell’Imperatore. Al Crocefisso Dio, non furono spezzate le ossa delle gambe, perché al momento di farlo, era già morto. Con la dovuta modestia, e scusate il paragone, ma allo scrivente non fu concessa una casa propria, per un preciso disegno superiore. Quale fu, ancora non mi è dato saperlo, ma lo conoscerò al termine dei miei giorni su questa meravigliosa aiuola fiorita.

 

 

                                                                                                             P. 92.

 

Fino alla Dispensa del 25.02.72, non avevo mai pensato ad acquistare una casa tutta per me. Verso la fine degli anni ’80 si affacciava prepotente in me l’idea; specie perché era riuscito a mettere da parte qualche risparmio. Il vero problema era “il dove”, nel senso che non era possibile l’acquisto in penisola, a causa dei costi elevati.

D’altra parte, a Napoli avvennero gli scippi a mia madre, rimasta illesa per miracolo. Accadde l’incidente con i finanzieri sotto il palazzo vicino al mio. Avevo subito due furti in casa. Mia moglie mi aveva abbandonato. Insomma, bisognava andare via. Come fare? Intanto avevo deciso che l’anno scolastico 87-88 sarebbe stato l’ultimo. Avrei chiesto le dimissioni per mettermi a disposizione di mia madre, che incominciava a decadere fisicamente e psichicamente. Lei mi guardava con un sorriso angelico da cui traspariva la sua totale fiducia in me, sempre convinta che ogni mia decisione era buona. Da parte mia, non smettevo di sollecitare la Bella Signora che mi avrebbe aperto una via sicura. Sta di fatto, che un giorno, seguendo una trasmissione, di Canale 5, fui tentato di partecipare ad un gioco, cui s’invitava gli spettatori. Presi carta e penna e scrissi due righe a Cologno Monzese. Con una telefonata mi avvertirono che all’aeroporto di Capodichino era pronto il biglietto aereo A/R. Non fui bravo a giocare. Mi salvò la busta con un punteggio segreto; mi fece arrivare primo, e destinatario del premio in palio. Passai così una settimana nell’isola d’Aruba, vicino a Caracas, con i vincitori dello stesso premio ottenuto nelle altre settimane. Tra questi c’era un Signore di Rovigo, il quale m’invitò ad acquistare una casa da quelle parti, poiché costavano poco. Con 25 milioni di lire, diventai padrone di casa e giardino, in un paesino sperduto della provincia. Dopo le dimissioni a scuola, il 16 dicembre 1988, mia madre ed io, ci trasferimmo. Ero convinto che in Veneto si stesse bene, in mezzo a gente adorabile, sincera e colta. Ora dovevo essere felice, avevo comprato una piccola auto usata per portare in giro mia madre, e sembrava che nulla mancasse alla felicità piena. Si trattò purtroppo di una maledetta fata morgana, un miraggio totale, un risultato inglorioso. I vicini si mostrarono dispettosi e malpensanti, sporchi e invidiosi, ignoranti e basta. Gli uffici pubblici lasciavano a desiderare, le forze dell’ordine arroccate su un piedistallo, le parrocchie arretrate e chiuse in se stesse. Il tutto assai peggio che in Campania. Il territorio era arido, brullo, deserto, pieno di ladri, come mi si raccontava con un godimento bestiale. Trasferirmi di nuovo con tutte le masserizie? Dove? Come? Ormai erano finiti i risparmi, e mi restava solo la pensione. Non sapevo che pesci prendere. Avevo preso un grande abbaglio, ed ora dovevo morire laggiù, tra miseria e dolore. Piangevo e pensavo. Mia madre mi consolava con una carezza; aveva capito prima di me che il posto non era per noi. Insieme si pregava, chiedendo lumi alla Signora. Forse amavo poco, e dovevo soffrire molto, per amare di più; se fosse così, pensai, grazie, Bella signora, staremo qui finché vuoi. La circostanza mi offrì l’occasione di riflettere sulla conclusione del Romanzo, e mi misi l’animo in pace.

 

 

 

                                                                                                         P. 93.

 

 

Macchè dico! Due giorni dopo, si trovava in vacanza presso casa mia, una signora nata da quelle parti, e che ora viveva in Piemonte per lavoro. Presa dalla nostalgia, voleva tornare al suo paesino; visto che stava per andare in pensione. Appena mi vide si avvicinò, come per suggerimento di qualcuno. Parlammo del più e del meno per un bel pezzo, e poi, come l’avrebbe letto sulla mia fronte, disse: Nel caso devi andar via, compro io la tua casa! Detto, fatto! Contrattammo il prezzo per 25 milioni di lire. Così mia madre ed io, passammo ad abitare nel centro storico di Rovigo. Era un palazzo vecchio in buone condizioni, con riscaldamento centrale, asciutto, tranquillo e pieno di sole, con affitto ragionevole. Sembrava tutto finito; ora non possedevo più la casa di proprietà, di nuovo, e per sempre. Disgraziatamente i problemi aumentarono in modo esponenziale, in tutti i sensi, ad incominciare dalla discriminazione, tra l’altro, dissimulata, che era peggio. Della residenza in Veneto, dal 89 al 93, 5 anni maledetti, non ne voglio parlare in questo diario, preferisco scrivere un libro a parte con tutti i particolari, mentre spero che quella regione sia divisa dall’Italia, invece del Meridione.

Torniamo a noi, per dire come andò a finire il breve soggiorno in Veneto, e per far risaltare una volta in più se ce ne sarebbe bisogno, l’intervento celeste. Un giorno, durante la passeggiata per offrire un gelato a mia madre, tornando a casa, le dissi: Cara mammina, rassegnamoci; dobbiamo morire qui!  Non l’avessi mai detto! Le cose precipitarono! Secondo me, la Signora si mise le mani nei capelli, e organizzò subito la sorpresa. Intanto mia madre ogni giorno faceva un passo indietro, ed io ebbi paura di poterla curare a dovere, non ritenendomi in grado. Durante il ’93, con telefonate e lettere postali, mi misi d’accordo con mia sorella Cristina, alla Marina di Cassano, per tenersi lei la mamma fino alla fine dei suoi giorni, mentre io me ne stavo nella casa di Rovigo ad aspettare la mia fine. A metà dicembre ’93, caricai l’auto con le sue robe, e condussi mia madre a Piano, mentre il cuore mi piangeva. Verso la fine dell’anno, con l’amaro in bocca, stavo per tornare in Veneto tutto solo. Mio nipote Giampiero mi fermò e mi presentò un vecchio amico che non avevo riconosciuto. Facemmo insieme due passi. Tra le altre cose, gli chiesi, d’interessarsi a trovare un monolocale per me. Tonino, si fermò, alzò il dito indice verso il secondo piano del palazzo sotto di cui stavamo parlando, e disse: Non c’è bisogno di cercare! La tua casa è quella! Andammo a vederla. Era casa sua. Combinammo l’affitto. Chiesi: Quando posso entrare? Rispose: Da oggi! Il buon lettore si metta nei miei panni, e immagini lui cosa dovessi provare. Fu un miracolo? Non lo so! Di certo è un preciso disegno celeste! E’ una protezione che accetto con gratitudine. Di là di quanto scritto e raccontato, molti altri casi sono stati fallimentari, ed è fuori luogo affermare che ogni volta è un caso. Per quanto mi concerne, è una vera provvidenza. Dopo l’accordo con Tonino, corsi da Cristina e da mamma, spiegai l’accaduto e rimandai la partenza. Perché? Subito detto!

 

 

                                                                                                     P. 94.

 

Senza pensarci due volte, andai rapido a casa del mio caro amico e fratello, Luciano Danza. Gli esposi il mio piano, e lo invitai a venire con me per aiutarmi nello sfratto. Luciano accettò, ed insieme andammo a prendere accordi con il Trasportatore Peppe Carotenuto, a Piano. Un suo camion sarebbe passato per l’indirizzo di Rovigo il giorno 11 Gennaio 1994. Luciano ed io, con la mia auto, ci avviammo 3-4 giorni prima per preparare il trasferimento. Alla data prevista, caricammo e partimmo. L’11 Gennaio fu un giorno memorabile: traffico scarso, sole brillante, viaggio da favola.  A Piano mi sistemai nel monolocale di Tonino, a 50 metrida Cristina. Mi sistemai nella mia cella, e presi mia madre con me. Da quel momento le stetti vicino 24 ore il giorno; emisi in quell’occasione, il proposito che nessuno l’avrebbe toccata all’infuori di me. Nello stesso tempo, chiesi alla Signora che mamma morisse nelle mie mani. Tutto mi fu accordato. Il 2 Gennaio 2003, durante la notte, tossì più forte che mai. Mi alzai e corsi da lei, le misi la mano sinistra sotto la testa per sollevarla un pochino, con la destra le tenevo la sua mano. Respirò ansando. Allora, recitai ad alta voce perché sentisse, l’Ave Maria. Non appena terminato, esalò l’ultimo respiro. Non morii anch’io, che Dio non volle; ma poco ci mancò. Dopo i funerali, mi chiusi in casa per un mese, e piansi notte e giorno. Volevo cambiare casa, ma la Signora era d’accordo? Sì, ma dove diceva lei! Ascoltate! Ritornai da Luciano per un consiglio. Egli prese appuntamento fra una settimana con una signora di Meta, che disponeva di una casa da affittare. Il giorno stabilito, mezz’ora prima di muoverci per vedere l’immobile e portare a termine l’affare, la signora telefonò scusandosi che aveva cambiato idea, e ritirava l’offerta. Per conto mio, rimasi di stucco. Non sapevo cosa fare. Luciano, nervoso, battendo un pugno sul tavolo, gridò: Telefona all’Ospizio di Sorrento! Ci sarà almeno lì, un alloggio per te! Risposta: Venga a vedere! Vidi, chiesi e dissi: Quando posso entrare? Mi sentii dire: Da oggi o da domani! Il giorno 11 Maggio 2003 feci il mio ingresso a Castel Sant’Antonio, come io amo dire.

Da quel momento, fino a oggi, 2008, misono trovato nel paradiso in terra, grazie all’intelligente e mitica direzione. In questo posto mi sono calmato ed ho ripreso a vivere. La mia camera è ornata con le foto di mamma e della Signora; loro, che mai per un momento, sono sicuro, non mi hanno pensato. A 500 metridalla Casa di Riposo, c’è la Scuola Media “Tasso”. Lì, nel 2005, ho frequentato un corso d’informatica, nel 2006, un corso di pittura ad acquerello, nel 2008, un corso di teatro. Quello, però, che mi ha più affascinato, è stato il computer, in cui mi sono ulteriormente perfezionato, fino a mandare in web un mio sito personale.

A Castel Sant’Antonio, ho avuto un’altra sorpresa. Il Presidente dell’ente “Casa di Risposo”, è l’Arcivescovo Felice Cece. Avendo saputo della mia presenza, mi cercò, mi ricevette in udienza, e volle sapere tutto della mia vita, dalla:  A alla Z. Era venerdì. Dopo il racconto, mi chiese d’essere ospite suo a pranzo, ogni venerdì. Accettai di buon grado, con l’umiltà di chi non merita niente, e con l’orgoglio di chi non rifiutava un simile, unico privilegio.

 

 

                                                                                                           P. 95.

 

Nella mia vita mi sono capitate molte robe che mi hanno lasciato a bocca aperta, ma l’amicizia con il Vescovo mi rende addirittura esterrefatto. Posso solo ricambiare con un sentito grazie! A tale proposito, devo necessariamente precisare i miei sentimenti nel capitolo che segue.

 

Ringraziamenti e Scuse

 

Riflettendo sulla mia vita trascorsa, il gaudio diventa meraviglia al pensiero che l’Onnipotente Creatore mi concede ancora del tempo per ringraziarlo di quanto ha operato in me, e per scusarmi delle mie intemperanze.

Ringraziamenti e scuse, devo alla Bella Signora che mi ha sempre protetto e mi ha condotto fin qui, così come ora sono. Li devo, a mia madre per essersi sacrificata per me, e per avermi lasciato sano di mente e di corpo. Li devo al gesuita Piersandro Vanzan, mio professore, relatore e recensore della Tesi. Egli mi ha guidato nel corso degli studi magistralmente. Mi ha dato la possibilità di penetrare con onestà la Sacra Scrittura, ed ancora oggi mi lusinga della sua amicizia.

Ringraziamenti e scuse, devo ai Dirigenti Scolastici che io ho incontrato nel corso della mia carriera, per la gran fiducia che hanno avuto in me, e per gli elogi di cui mi hanno fatto oggetto. In particolare, devo riconoscenza e stima ai Direttori Didattici Mario Jannelli e Corrado Avossa, per avermi portato in palmo di mano fino all’encomio scritto, e per avere apprezzato il mio lavoro con i “giovanotti” a me affidati. Riconoscenza e stima, devo al Prefetto di Napoli Tito Biondo, per avermi ricevuto con la mia classe, più volte, nel suo studio privato, interessato alla mia metodologia, fino al punto da scrivere al Provveditore agli Studi, un incomparabile elogio sulla mia tecnica educativa.

Gratitudine e debito, sento nei riguardi del Presidente Monsignor Antonio Guarracino, e dell’equipe del CELAM in Bogotà, per avermi accolto fraternamente e per aver contribuito alla stesura della mia Tesi con suggerimenti ed indicazioni bibliografiche adatte alla bisogna.

Ringraziamenti e scuse, devo alla mia seconda madre, Maria Paladino che, prima mi ha condotto con seri studi al Concorso Magistrale, e poi ha lei orientato la mia vita nel senso migliore, obbligandomi a scegliere le elementari, e rinunziare alle Medie. Li devo al Vescovo Felice Cece che mi ha ritenuto degno di sedere a mensa con lui, e mi ha dato la possibilità di esprimere con franchezza il mio pensiero.

Li devo all’equipe della Casa di Riposo, capeggiata da don Gabriele e Salvatore, per avermi accolto con calore e per avermi sistemato in una “cella” da cui ed in cui si gode pulizia, silenzio e buon vitto. In questa sede, o Castel Sant’Antonio, come mi piace definirla, ho avuto il piacere di soddisfare un mio proposito: ho mandato in “web” un sito con il mio nome. Don Gabriele, poi, ha risolto tutti i miei problemi di latino.

 

 

                                                                                                             P. 96.

 

Ringraziamenti e scuse, devo al mio amico e fratello Luciano Danza e alla sorella Ermelinda, per essermi stati sempre vicino, nell’esultanza e nella depressione; il loro conforto mi ha aiutato a superare crisi altrimenti irreversibili. Li devo anche ad Emma Danza, e ai suoi 4 figli, per avermi trattato come persona di famiglia, facendomi partecipe delle loro gioie e della loro felicità. Li devo, a Suor Maddalena Guarino, che mi è stata sempre vicino e ha sempre avuto fiducia in me. Mi ha confortato e sostenuto con la tenerezza di sorella e madre.

Ringraziamenti e scuse, devo a mia sorella Cristina che mi ha sempre accolto e voluto bene, contrariamente a quanto mi hanno disprezzato tutti gli altri parenti, tenendomi lontano dai loro incontri di famiglia, senza alcuna precisazione e senza motivo serio.

Riconoscenza e stima, devo a tutti i miei ex alunni, che, con la loro intelligenza e il loro buon cuore, con l’attaccamento alla mia persona e la loro docilità, hanno permesso di dimostrare a me stesso che non esistono irrecuperabili, esiste invece l’educatore sbagliato. Tutti loro hanno vissuto la disciplina come una risposta d’amore, all’amore manifestato, senza patire l’affronto di un5 in condotta, mai.

 Riconoscenza e amore, devo al Preside Alberto Carino. Egli mi preparò, durante l’estate, agli esami della seconda sessione. Con il suo aiuto, senza riscontro economico, riuscii a conquistare il Diploma Tecnico Nautico.

Ringraziamenti, riconoscenza e stima, da me si devono all’Arcivescovo Carlo Serena, sia per la fiducia e sia per la simpatia avute per me. Io fui l’unico a ricevere dalla sua bocca, il compito di “prefetto” al Seminario Minore. Mons. Serena volle che fossi io, ad accompagnarlo a Roma, per il Concilio Vaticano II, e sedetti qualche minuto al suo posto, nell’Aula Conciliare in San Pietro.

Considerazione ed ammirazione, devo ad Eleonora Puntillo, di Paese Sera, per l’articolo pubblicato in elogio dei miei alunni, definendoli Intelligenti senza limiti.

Gratitudine e obbligo, devo ai coniugi Pierino Ruggiero e Lucia Casa. Loro mi hanno sollevato dalla crisi in cui ero caduto, dopo la morte di mia madre. Lucia usò parole forti nei miei riguardi, minacciando solitudine e manicomio, se non mi sarei ravveduto in tempo. Quella batosta mi rimise in sella, e scongiurò per me una fine amara. In seguito, incominciò a tormentarmi e burlarmi; perché mi mancava la conoscenza dell’informatica. Per farla contenta, sono andato talmente in fondo alla questione, fino a mandare un mio sito in web. Come chiamarla? Terza madre? Non so!

Amore, simpatia e benevolenza, devo a don Franco Castellano, per avermi aperto la mente con gli studi filosofici, seguendomi per un anno intero, senza riscontro economico. Rispetto, affetto e tanto altro, devo a don Pasquale Ercolano, per avermi introdotto con ostinazione, lì dove non avevo il coraggio di penetrare, e per avere, in ogni occasione, messo in evidenza la mia persona. Lo devo, a don Gennaro Starita, per aver pubblicato sul suo Bollettino Parrocchiale, alcuni miei articoli.

 

 

 

                                                                                                     P. 97.

 

Lo devo a don Luigi Di Prisco, per avermi circondato in ogni occasione della sua benevolenza e per essermi venuto incontro in particolari momenti. Lo devo a don Antonino Gargiulo, che non mi ha fatto mancare il suo sostegno durante gli studi recenti in informatica. Lo devo a don Salvatore Starace, per avermi accolto senza discriminazione nella cerchia dei suoi amici, e per avermi lasciato la libertà d’espressione. Lo devo a Luigi Di Prisco Junior, per aver pubblicato una mitica intervista da lui raccolta dopo la messa in web del mio sito personale.

Le sorprese per me, non finiscono mai, e nessuno mi toglie dalla testa che è la Signora a stuzzicarmi con parole piccanti: Mai dire mai! Nel caso mio, dovrebbe suggerire anche: Mai dire basta!  Nel dialetto locale, a volte si mormora: Tre pensieri, e chilo a quatto! Ebbene tutto si poteva immaginare, tranne quello che sto per scrivere. Entrai un dì, nella libreria TASSO, come tante altre volte, in cerca delle ultime edizioni, delle recenti novità, degli scoop macroscopici. Strano a dirsi, quella mattina, in libreria non c’erano compratori; Stefano ed Angela, sprizzavano dagli occhi il loro buon umore. Il primo ammonì secco: Signor Tonino, metta per iscritto le avventure della sua vita; potrebbe uscirne una pubblicazione! Angela aggiunse con sussiego: Sì, è vero, ha ragione! Il titolo? Una vita da raccontare!  Confuso, smarrito, ubriaco? Non lo so! Era una proposta a cui non avevo nemmeno lontanamente pensato; la ritenevo fuori d’ogni mia prospettiva. In ogni caso, presi la palla al balzo, corsi nella cella del castello, e iniziai a scrivere, ed eccomi qui a ringraziare Angela e Stefano, per avermi spinto a mettere nero su bianco tutta la via vita fin qui trascorsa.

Sono quasi certo del lume ricevuto dall’alto, e mi auguro che qualcuno possa trarre beneficio da quello che legge.

Per ultimo, ma non ultimo, devo ringraziare mio padre per aver contribuito alla mia nascita, e per aver lavorato al fine di sostenermi in vita. Gesti belli, ma non sufficienti.

Nel mio racconto non ho dato al signore padre abbastanza risalto, a causa della mancata o assente disponibilità per una mia crescita e maturazione sotto l’aspetto psichico. Ogni figlio, maschio o femmina, non apprezza un padre duro, serio e distaccato, come un capo cui si deve rispetto, obbedienza e silenzio. I figli desiderano una carezza, un abbraccio, l’orgoglio di passeggiare sotto il braccio del genitore. Il quale, purtroppo afferma che è preso dal lavoro, perché la famiglia raggiunga una posizione economica elevata. Regala ai figli tutto ciò che può mostrare di appartenere a quel padre. Le conseguenze quali sono? Ottenuta la patente di guida,  il genitore fa trovare per Marco la sua BMW sotto casa, chiavi inserite. Il giovane chiama tre amici per la prima escursione. Con un sorriso amaro, parte e preme l’acceleratore a tavoletta. Correndo, pensa: Quel disgraziato, mi regala l’auto al posto di una carezza, di un bacio, di un abbraccio; crede che la sostituzione serve a compensare il suo disprezzo per me. Preferisco morire che avere un padre disamorato! La velocità aumenta, gli occhi si gonfiano, le lagrime offuscano la vista. Uno scontro frontale? Un ostacolo non evitato. Una curva non riuscita, e lo schianto.

 

 

                                                                                                       P. 98.

 

Il mezzobusto, durante il TG, con voce rotta per l’occasione, annunzia: Ancora stragi sulle strade! I grandi sono tutti uguali, perdono la migliore gioventù, e non si sentono colpevoli. Con l’emanazione di continue, nuove restrizioni, si sta creando una rete oppressiva sempre più fitta, da cui i giovani vogliono liberarsi con sempre nuove trovate. Il problema non si risolve così.

Devo la mia riconoscenza a mille altre persone che mi hanno aiutato e sorriso. Tra queste ce n’è una discesa dal Cielo, che con una mirabolante pazzia d’amore, mi ha dato la possibilità di aspirare ad una vita eterna felice, e si è persino compromesso con proposte incredibili, come quella riportata da Giovanni 15,17: per crederci, bisogna solo sperimentarla. Grazie.

Parentesi.

Durante gli anni in cui assistetti mia madre, ebbi la possibilità di utilizzare con profitto le ore morte della giornata, durante le quali lei dormiva, come succede con gli infanti. Un giorno che mio nipote Franco andò a Napoli, mi feci comprare la grammatica portoghese. Oramai la tecnica d’apprendimento delle lingue mi era nota, avendola sperimentata con inglese, francese, tedesco e spagnolo. Ciò non toglie che in merito alla pronuncia, alla morfologia e alla sintassi, possono sorgere dubbi seri, in mancanza di professore vicino.  Come fare in questi casi? Ebbene, sì, anche qui provvide la Signora. Come il formaggio sui maccheroni, venne ad abitare nel palazzo prossimo al mio, una signora portoghese di cultura, con un bambino, e sposata con un mio caro amico di Piano. Nei momenti di difficoltà mi rivolgevo a lei, appianavo la lacuna, e continuavo. Impiegai più di due anni per imparare il portoghese, ma ci riuscii, fino al punto da menare a memoria delle poesie di Pessoa, che ancora ricordo e ripeto. Dopo la lingua lusitana, attaccai con il russo, e non ho ancora finito; ho dovuto rivedere il latino per le affinità tra le due lingue. Un poco alla volta riuscirò anche in questo.

 

Colloqui

 

Mi piace riportare qui di seguito, alcuni colloqui avuti con mia madre, sembrandomi molto belli, intelligenti ed umoristici.

 

Tonino, mi sto facendo vecchia?

Come: “Mi sto facendo”?

Già, è vero, mi sono già fatta vecchia?

Cara mammina, a 92 anni! Certo, ti sei fatta vecchia: ma qui c’è il tuo cameriere per servirti ed accudirti di tutto punto.

 

Tonino, come farei senza di te?

Cara principessa, la Signora mi aiuta, e tu avrai sempre e solo me, vicino a te!

 

 

 

 

                                                                                                                                  P. 99.

 

Tonino, meno male che ci sei tu, almeno posso campare qualche giorno in più!

Sì, Principessa! Io da qui non mi muovo. Ti servirò come il prete all’altare!

 

Mia Paperina, mi vuoi bene?

Che sciocchezza! Non dire certe cose! Certo che ti voglio bene!

 

Tonino, sto morendo!

Fino a che sarai viva, mia bella farfalla, non ti lascerò. Ti voglio bene fino alla fine!

 

Tonino, non ci vedo più come prima!

Cara mamma, mi pare logico che a 92 anni non ci vedi bene come prima. La vista se ne scende con l’età. Io sto qui per servirti ed aiutarti. Ti voglio bene!

 

Sveglia, principessa! Giù dal letto, devi fare pipì!

Voglio dormire ancora!

Mamma, qui non si dorme in eterno!

 

Tonino, sono mezza morta!

Oh, bella bambola, se tu sei mezza morta, cercami 6 numeri per il super enalotto!

 

Tonino, secondo te, come sto?

Principessa, sting stang stong, comm’ stevo, accussì stong!

 

Tonino, non ti vedo!

E’ naturale; sono un angelo! Però mi senti! E questo è importante, perché sto sempre vicini a te! Non ti lascerò mai!

 

Non ti sento, Tonino!

Non ti vedo! Non ti sento! Allora parla, che sento io, e ti vedo io. Sono vicino a te, sempre!

 

Tonino, perché sto così?

Perché ò’ Papa nun è re, ò’ re non è papa, a vespa non è ape, e l’ape non è vespa, fai come ti dico e starai meglio. Ti voglio sempre bene e non mi muovo da qui!

 

Tonino, dove sei?

Mamma io sto qui, e o papa sta a Roma! Sarebbe meglio che io stessi a Roma e o papa qui.

 

Mamma cosa ti metto, il fascicollo o la fune al collo?

Mettimi il fascicollo, e così sto più calda.

 

Tonino, grazie che mi aiuti!

Mamma, sto facendo solo la metà del mio dovere!

 

Tonino, mi raccomando, mantienimi pulita!

Mia bella mamma, ti mantengo come un bocciolo di rosa, fresca e profumata. Sono sempre il tuo cameriere.

 

 

 

                                                                                                                     P. 100.

 

Mamma, devi fare pipì!

Non ti preoccupare, fallo tu!

 

Mamma non ti fare sotto! Mi viene una cosa allo stomaco!

Non viene a me; viene a lui!

 

Tonino, quando mi lavi, mi sento nuova. La Madonna ti dà la forza.

Grazie mamma, a te e a lei!

 

Come ti chiami?

Tonino!

Ah, Torino?

Sì, domani!

 

Come ti chiami?

Torino!

Ah, Tonino?

Così va bene!

 

 

Naqui il VI. VI. XXXV. Il 35 interessa molto lo scrivente.

Nel 335, Aristotele fondò il Liceo ad Atene, o la scuola peripatetica.

Nel 335, e fino al 374, fu Vescovo di MI, Aussenzio, a cui seguì Ambrogio.

Nel 1035, nacque ad Aosta, Anselmo.

Nel 1135, Alfonso d’Altavilla divenne Principe di Capua e poi Duca di Napoli.

Nel 1235, Alessandro di Hales, francescano, insegnò Teologia a Parigi.

Nel 1535, avvenne la “presa di Tunisi” da parte di Carlo V.

Nel 1535, Silvestro Aldobrandini, perorò la sua causa presso Carlo V.

Nel 1635, Bonaventura Cavalieri, pubblicò le opere d’Archimede, riviste.

Nel 1635, Fabio Chigi, era inquisitore di Malta; eletto poi papa, Alessandro VII.

Nel 1835, nacque Giosuè Carducci, e visse fino al 1907.

Nel 1835, Giovanni Aldini, prof Univ. Bologna, morì a Milano.

Nel 1835, nel NH, USA, nacque Thomas Bailey Aldrich.

Nel 1935, nacque a Riese, Pio X, Giuseppe Sarto.

Nel 1935, morì a Lisbona Fernando Antonio Pessoa.

Nel 1935, Dante Alderighi ottenne la cattedra di pianoforte al Santa Cecilia.

Nel 1935, Vicente Aleixandre y Merlo, poeta spagn. Pubblicò La Destruccion.

Nel 1935, nacque a Brooklyn N.Y. - Woody Allen.

 

Chi ha predecessori migliori di questi, si faccia avanti, ed io sarò secondo.

 

 

 

 

 

                                                                                                        P. 101.

 

 

L’ULTIMA BATOSTA

 

Famiglia in fumo

 

Qualcuno la chiamerà iella, un altro parlerà di sfortuna, e c’è anche chi preciserà che fu destino. Checché ne sia, il problema è mio e lo risolvo in un’ottica soggettiva. Era scritto in Cielo, volli agire di testa mia, e fui punito. Nel dispiacere però, appresi la lezione. Era necessario che fossi sano di mente e di corpo, forte, resistente, capatosta e solo. Mia madre meritava l’assistenza che le dovevo. Altri impegni non  potevano esserci. Così, scrissi la canzone:

O donna, o donna,

Ch’ai piedi d’un monte stassi,

Ove lo sguardo volgi,

Tradimenti e traditori scorgi,

Ed anche i sacri bronzi

Aleggian come str….

O donna, o donna,

Tu che se’  tanto decantata,

Della Campania sei

Una gran ca…..

 

Mia madre, era una santa? Per ora, la ritengo tale. La certezza l’avrò, a tempo debito. Procediamo per ordine. Durante il sacerdozio cosa successe?

Una mia cugina di Piano, organizzava con una certa frequenza, viaggi in pullman, per l’Italia e per i Paesi confinanti. Talvolta andavo anch’io per darle una mano, specie in Francia e Spagna. L’aneddoto riguarda il viaggio a Lourdes nel periodo in cui i preti già vestivano in borghese. Fiorella mi aveva adocchiato, e lungo il viaggio avemmo degli abboccamenti giocosi. In una Chiesa di Lourdes, i partecipanti erano tutti compunti nell’attesa del celebrante. Ad un certo punto mi alzai dal banco in cui sedevo, e mi recai in sagrestia. Presi l’amitto e me lo misi sulle spalle. Abituato ai miei scherzi, il signore che doveva servire all’altare, disse risentito: Non scherzare! E’ un peccato! Risposi: Guarda, che il prete sono io! Il signore s’impietrì. Non appena comparvi sull’altare, pianti, lagrime e singhiozzi, si sentirono in quell’aura senza tempo tinta,  da parte di Fiorella, della madre e di metà del gruppo. Tutto però, finì lì, con quel macabro scherzo. Avevo sposato un’altra causa, e non intendevo tradire la mia promessa.

Nel periodo in cui rimasi Vice, nelle parrocchie di Caronte e di Minosse, tentai perfino di cambiar diocesi, per la disperazione. Feci la prova, visitando un caro amico, parroco di un paesino arroccato sui monti, nel centro dell’Italia. Era la primavera ed andai per la benedizione delle case.

 

                                                                                                           P. 102.

 

 

All’inizio del percorso, era una, poi due, infine un gruppo di ragazze che m’accompagnavano per le vie del Paese. Avevano visto il loro idolo, il figo desiderato, l’autore della loro felicità. Per parte mia, nel guardare quei corpi sinuosi, energici e travolgenti, poco mancò che non facessi strage. Capelli fluenti, occhi parlanti, bocche eccitate, ogni gesto parlava senza voce. Quegli angeli in carne, mi ricordavano le anime che si accalcavano sul lido, desiderose di salire sulla barca di Caronte, per essere traghettate all’altra riva. In realtà loro volevano altro da me, se non capii male. Tuttavia, non intendevo tradire il mio impegno preso, finché non fossi stato libero; e notte tempo, mi dileguai, lasciandole tutte tra pianti e guai!

Dopo la dispensa del 25.02.72, con cui tornai ad essere un semplice e comune laico della Chiesa cattolica, io incominciai ad orientarmi per ricevere il VII Sacramento. Il primo passo che feci sulla scacchiera del Mondo, fu quello di adocchiare una persona di sesso femminile che avrebbe fatto al caso mio. Non volevo che abitasse lontano di casa mia, e che fosse aperta, libera e disponibile. Preferivo un corpo snello e formoso, con una mente superiore, moderna e disinibita. Mi piaceva colta e con un posto di lavoro. Chiedevo l’appagamento erotico senza remore, e nessuna limitazione sul numero della prole. Cerco, mi attivo, frequento, e ogni volta era fumata nera.

Parentesi. Per ragioni di delicatezza, non citerò i nomi delle colleghe; li ho sostituiti con nomi di fiori. Non mi sembra opportuno nemmeno riferire luoghi e date, Grazie.

Chiusa parentesi.

La più bella che s’invaghì di me, ed io di lei, fu la cinesina di Taipei. La conobbi, quando mi recai a Taiwan in visita alla famiglia del mio amico Woody. Era bella, dolce, carina; vestiva divinamente. Il guaio fu, che lei parlava solo cinese, ed io solo italiano. Lei aveva un posto di lavoro sull’isola, ed io a Napoli. Per qualsiasi di noi, il sacrificio era troppo grande, e finì la storia con un abbraccio, alla partenza per l’Italia.

Conobbi Gigliola, quando discussi la Tesi di Laurea in Pedagogia. Aveva le caratteristiche che io desideravo. Anche lei era diventata dottoressa, possedeva la casa di proprietà, era meglio di una statua di Michelangelo. Il caso volle che abitasse in un paese bello alla vista, centrale sullo Stivale, ma corroso dalla malavita. Il che non mi piacque, e abbandonai la presa.

A Parigi ebbi il piacere di abitare in un atelier al centro della città, in una zona meravigliosa. Margherita era di quelle ragazze che facevano perdere la testa, al solo guardarle in faccia, dolce, simpatica e lavoratrice. Disgraziatamente, lei non potava abbandonare il posto di lavoro, ed io non volevo lasciare il mio insegnamento. Anche questa volta la fumata uscì nera.

Rossella di Bruxelles era una donna carnale, sinuosa, 120-80-120, viso angelico, calda come piaceva a me. Con lei visitai i posti più belli di queste parti: Capri, Postano, Amalfi, e tant’altro. Andai a vivere con lei per un pezzo a Bruxelles, ma non ci accordammo su certi particolari, e finì con un nulla di fatto.

 

 

 

                                                                                                                      Pagina 103.

 

Perla era una bambola di New York, del colore di una statua d’ebano. La chiamavo così, perché, quando sorrideva, mostrava una fila di candide perle. La conobbi durante una delle mie crociere alle Bahamas. Ogni settimana ero a casa sua, durante le ore di riposo, all’arrivo in porto. Venne poi a Sorrento, ospite mia. Perla prese grand’amicizia e simpatia con la mia mamma, e con questo nome la chiamava. L’intesa tra loro due, fu reciproca. Prima di convolare a giuste nozze, avrei dovuto volare diverse volte su e giù tra Roma e NY, e la cosa non mi andava. L’insegnamento poi, era una calamita troppo forte per me. Nella metropoli USA, anche i parenti di Perla, tutti ebanisti anche loro, mi presero a ben volere. Oggi forse, avrei una squadra di mulatti. Ad ogni modo, finì in una bolla di sapone.

Questa è bella! Viola era invece una statua eburnea, tanto bbb, bella, brava e bona, che ce n’è come lei, una per miliardo, ovvero, 6 nel Mondo. Andammo dal Parroco, preparammo le carte, e organizzammo un matrimonio segreto. Come spesso succede, i suoi parenti si opposero, e la mattina in cui si dovevano benedire le nozze, la mia metà non si presentò, per paura. Ancora una volta, tutti giù per terra!

In verità, le avventure non finiscono qui, ma questa volta sono io che voglio terminare, per passare all’ultima batosta. Conobbi Gelsomina, insegnante anche lei, e con le caratteristiche accennate in precedenza. Come il Cielo volle, riuscimmo a varcare la soglia della Chiesa, e ricevemmo la benedizione sul nostro “SI!” Era una Chiesa dedicata alla Signora, la quale forse, non gradì il mio passo, dopo tanti fallimenti che mi ammonivano a non riprovare. I guai cominciarono dopo l’inizio della vita di coppia. La convivenza si deteriorò non tanto per motivi nostri, quanto per le ingerenze indebite dei genitori suoi. Tra le altre pretese, imponevano che non facessimo figli, e per questo proibivano perfino l’amplesso. Chiesi a mia moglie di avvertire il padre, a non frequentare ulteriormente casa nostra per venire a dettare leggi. Dopo qualche giorno, tornando da scuola, trovai nel passetto d’ingresso, in bella vista, il seguente cartello scritto a mano:

Ho inoltrato istanza di

Separazione al Tribunale tramite

Il mio avvocato.

Gelsomina, in mia assenza, aveva preso le sue cose, abbandonato la casa, e si era ritirata presso i suoi parenti. Non potetti fare nulla per invitarla a tornare, sebbene avessi provato in tutti i modi. Nell’attesa soffrii le pene dell’inferno. Finalmente il Giudice sentenziò:

Nessun figlio,

Nessun assegno di mantenimento,

Perché economicamente sufficiente.

 

 

 

 

 

                                                                                                        Pagina 104.

 

Da allora, finirono i miei rapporti con le donne per cercare un’altra sistemazione.

Dopo questo naufragio, mai più mi sposerò.

Da quel momento, mia madre venne a vivere con me, dopo la pausa di Sorrento.

Il resto è noto.

Dopo la morte di mia madre, nel 2003, io mi ritirai a Castel Sant’Antonio, dove ebbi il piacere di conoscere l’Arcivescovo Felice Cece e gioire della sua amicizia.

A lui ho raccontato quanto scritto in queste pagine, prima di raccontarlo qui.

Alla Casa di Riposo ho continuato gli Studi, e mi piacerebbe aggiungere quanto qui di seguito indicato.

LE ULTIME:

Intervista (Di Prisco)

Paralipomeni

Intorno alla Genesi

Nodo di Gordio

Confessione

 

 

FORMULE: 0,4 – 0,7 – 0,8  (Ragione, Preghiera, Leggi e Colonne).

 

OMELIE:

Cristo Re

I dodici

 

PSICOLOGIA:

Pazzo Mondo

 

IN DIFESA DEI GIOVANI:

Lezione 35, Conclusione

 

Sorrento, giovedì 25 settembre 2008, 16.14.57

 

                                                                  Antonino Cappiello.

 

Aggiungere: TESTAMENTO BIOLOGICO.

Niente fiori e senza manifesti, più cremazione.

 

Aggiungere breve conclusione e ringraziare i lettori.

Traduzione

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