Articoli

 LEZIONE 2


LETTERA APERTA

AI GENITORI, AGLI ALUNNI, AI PROFESSORI.

 

Domanda: Vorrei sapere se in pedagogia esiste la regola del do ut des.

Rispondo: In pedagogia esiste una regola importantissima; regola accettata da tutte le filosofie e da tutte le religioni: fai agli educandi quello che desideri che essi faranno a te. “FAI” significa, comportati, agisci, opera, attivati, ama. “AGLI EDUCANDI” significa a tutti! A tutti i piccoli, dal frutto del proprio seno, al piccolo sperduto nel deserto o in cima al monte, sotto ogni latitudine, per 360°; tutti minori sono apprendisti. Dunque, tendere la mano a tutti, guardare tutti con simpatia, a qualunque lingua, razza o religione essi appartengono.

Dom.) Visto che sei anche dottore in teologia, qual è il senso dell’unità e della pace, prospettati dalle varie religioni?

Risp.) Il Buddismo pone l’accento sulla pace nella famiglia ed auspica che “famiglia” diventi il Mondo intero. L’Islam insiste sulla fraternità e l’amore, sulla tolleranza e la disponibilità, per instaurare la pace universale. L’Ebraismo considera basilare il dono della filiazione a Dio, per concludere che siamo tutti fratelli, per cui la pace e l’unità s’impongono di conseguenza. I Cristiani si rifanno alla Parola di Cristo “via, verità e vita” e s’impegnano a realizzare il suo desiderio espresso pregando: ut unum sint sicut tu Pater in me et ego in te!  Per finire, l’obiettivo cui tende l’umanità in prospettiva teleologica è appunto la “pace nel mondo”, “il mondo unito”! Quest’obiettivo sarà solo un’utopia finché non ci si convince che per realizzare la pace bisogna partire dalla famiglia naturale. Proprio qui entra la Pedagogia con le sue regole: (a) la pace non si realizza con l’imposizione, (b) non avere nulla da perdonare perché non c’è offesa, (c) diventare artisti.

Dom.) Cosa c’entra ora “diventare artisti”?

Risp.) Chi non è artista non conosce Dio, l’Artista per eccellenza! Egli è un ateo, un traditore, un egoista! L’Artista è colui che ama, perché chi ama agisce e si prodiga, e prodigandosi crea un’opera d’arte:

Il Sindaco e il carabiniere, il padre e il maestro, il pastore e il sacerdote, il ballerino e lo studente, il musicista e lo scultore, lo spazzino e il farmacista, l’atleta e il marocchino, il pedagogo e lo scrittore, sono artisti nel loro campo se si prodigano per il bene comune. Essi s’interessano, realizzano, producono, perché amano, e il loro prodotto mette in mostra l’orma che il Creatore volle in lui stampar. Caro Amico, queste cose non sono una novità perché le conosciamo da millenni: Coeli enarrant gloriam Dei et opus manuum tuarum annuntiant homines. Questo è solo pedagogia; la religiosità è ben altro. Ne riparleremo a tempo debito.

Dom.) In pratica tu stai in qualche modo rivoluzionando la visione pedagogica appiattita dal tempo! Questi argomenti sono davvero shoccanti!  In ogni caso, prima di passare alle “lettere”, vorrei una sintesi della prima lezione.

Risp.) Nella prima lezione dicemmo di volere approfondire i problemi riguardanti la scuola, e nel contempo, ricercare e individuare una metodologia pedagogica corretta per educare i nostri giovani in questo tempo e in questo ambiente. Dicemmo anche che le esigenze cambiano e che non sono i giovani a doversi ancorare al passato, ma noi grandi ad adattarci ai tempi che rapidamente si trasformano. Certo, per noi adulti il problema non è semplice, però rimane che li abbiamo messi al mondo senza il loro consenso ed è per noi un dovere preoccuparcene.

Parlammo inoltre, dei motivi di sbandamento per la gioventù individuandoli in 5 ambiti. Terminammo con l’impegnarci a riflettere su questi fatti per sgombrare il nostro animo dai preconcetti e mettere a fuoco i principali errori pedagogici nella fondata speranza di riequilibrare i nostri rapporti con i giovani, sia per metterli a loro agio, sia per farci amare e stimare di più. Solo se riusciamo a conquistarli instaurando con loro un rapporto di amicizia sincera, ci sarà più pace nel mondo, più tranquillità nella famiglia, più gioia e desiderio di vivere.

Dom.) Perché parli di lezione? Sembra che ti rivolgi ad una scolaresca e non ad un pubblico adulto.

Risp.) Dico lezione perché sono professore e la parola mi è più congeniale, ma se a qualcuno non piace “lezione”, dica pure chiacchierata, colloquio, discorso, incontro, dibattito, insomma usi la parola che gli aggrada, il necessario è che c’intendiamo. Il risultato, del resto, è sempre lo stesso: cercare il modo migliore per valorizzare i nostri figli e alunni.

Ora mi devo rivolgere separatamente a tre categorie di persone per parlare loro con il cuore in mano: prima ai genitori, poi agli studenti, infine ai professori. Parto dalla certezza che NOI amiamo i giovani sinceramente, e non a chiacchiere.

Dom.) Sono curioso di sapere cosa vuoi dire ai genitori.

Risp.) Cari Genitori,

Voi siete i primi a volere bene ai vostri figli, non c’è dubbio; eppure ogni volta che parlo con uno di voi, mi sento dire: “Mio figlio non vuole studiare, oppure: Mio figlio non sa fare i compiti,” o ancora: “I professori si lamentano”, inoltre: “Mio figlio non è portato per la scuola”, infine: “A casa mi fa disperare! Vuole sempre uscire ed io ho paura.”  E robe del genere.

Incominciamo dal primo punto: Non va bene a scuola ed i professori si lamentano. Ora io vi domando: Sapete almeno dove va vostro figlio a scuola? In un istituto dove manca l’acqua, dove i gabinetti sono inguardabili. Chiusi in aule piccole e sporche, con banchi e sedie rotti. In una scuola, dove d’inverso si gela, e d’estate, si muore dal caldo. Sistemati in aule di passaggio o in aule divise da una parete di cartone. Obbligati a stare ammucchiati, da 4 a 6 ore di seguito, per ascoltare insegnanti barbosi e forse incompetenti, se non altro sotto l’aspetto comunicativo. Mortificati ed umiliati fino all’inverosimile. Questa è la scuola dove mandate i vostri figli.  Poi vi lamentate che essi non studiano?

Questa è la scuola che c’è offerta, e voi vi lamentate dei risultati? E’ nota la massima: Quello che si semina si raccoglie.  Ebbene, ora vi faccio una proposta. Fissatemi un appuntamento 25 genitori di voi che mi leggete, e riunitevi in una piccola aula come quella dove i vostri figli si recano per le lezioni.

Rimanete con me, seduti e senza muovervi dalle 8.30 alle 13.30, e ascoltate, sempre da me, per la prima ora, una lezione di grammatica italiana, per la seconda ora, una lezione di storia, per la terza ora, una lezione di filosofia, per la quarta ora, matematica, ed infine, inglese. In queste 5 ore non vi dovete muovere, non fumate, non parlate tra voi, prendete appunti e rispondete alle interrogazioni. Per rendere l’incontro realistico al massimo, concedetemi di chiamarvi “ignoranti”, “bestie”, “carrettieri”, ecc. In pratica dobbiamo riprodurre un giorno di lezione dei vostri figli. Alla fine delle lezioni, prendete l’assegno e andate a casa per eseguirlo.

Ora ditemi voi se siete disposti a trascorrere una mattinata del genere per un solo giorno in tutta la vita. No! E poi pretendete che i vostri figli siano disposti a sopportare tutto questo per 200 giorni l’anno, per 13 anni di seguito?  Dai 6 ai 19 anni, nel periodo più bello della loro vita? Quando sento dire: I giovani sono matti! Rispondo: E’ ovvio! Dopo 13 anni di manicomio cosa vorreste? Che fossero sapienti? E ciò me lo chiamate amore? Voi li mandate alla tortura, mentre in cambio pretendete rispetto e sottomissione. In tal modo, al danno della scuola, si aggiunge la beffa dei genitori.

Vi starete domandando: E che facciamo? Non li mandiamo a scuola? Rispondo: Sì, non li mandate, se questa è la scuola, finché non cambia! E’ una contraddizione mandarli a scuola per educarli e invece si perdono. E’ meglio imparare un mestiere da galantuomo anziché illudersi di possedere un titolo di studio a cui non corrisponde un’adeguata cultura. Se poi vi fa piacere mandarli, siate seri, e non vi lamentate.

Mi chiedete ancora: Se posti di lavoro non ce ne stanno, dove lo mandiamo a lavorare?  Rispondo: “Quando questo figlio lo dovevate concepire, sapevate anche allora com’era la scuola, e che posti di lavoro non ce n’erano”. Ciononostante lo avete concepito lo stesso, lo avete messo al mondo nel dubbio concreto sulle modalità della vita che avrebbe vissuto. “Adesso è necessario interessarsene”.

A questo punto dovrei aprire il discorso sulla sessualità e sulle sue stravaganze da rivedere. Su quest’argomento tuttavia, terremo un discorso a parte, altrimenti vi scrivo un romanzo e non una lettera.

Secondo punto. Voi dite: Mio figlio a casa mi fa disperare. Poi vuole sempre uscire, ed io ho paura!  Se questo è vero, ci sono varie cose da mettere in chiaro. “A casa mi fa disperare”. Perché? Due sono i casi: o è piccolo, o è grande. Se è piccolo vorrà giocare, vorrà scrivere o disegnare, vorrà manipolare la plastilina, farà cadere un gingillo dal tavolo, ….Insomma, questo bambino, che altro può fare?  Ma a voi tutto questo non piace, perché la casa è più importante che vostro figlio! Secondo voi dovrebbe stare immobile e non darvi fastidio! “Non darvi fastidio!” Questo è il punto! Questo è un chiaro segno di mancanza d’amore! E’ un segno di disprezzo per il bambino. Il figlio dà fastidio se fa ciò che è naturale alla sua età! O forse pensavate di generare un soprammobile?  Però i soprammobili si comprano, non si generano.  Se è più grande, voglio dire un ragazzo, un giovanotto, in casa vorrà suonare, vorrà stare a parlare con gli amici, vorrà studiare insieme con una compagna, ….. Insomma, che cosa potrà fare? Ma a voi tutto questo non piace! Non può suonare perché vi fa male la testa. Non potrà stare con gli amici perché sporcano.

Non può studiare con l’amica, per timore che si diano un bacio. In quest’inferno non possono resistere e se ne vanno, quando non siete voi stessi a mandarli via.

Allora non mi dovete dire: “Vuole sempre uscire!” Asserite invece, onestamente, che in casa, create condizioni impossibili per poterci rimanere; e i giovani vanno a cercare l’ambiente che li accetta! Createlo in casa quest’ambiente, ed essi rimarranno! E così, per giustificare la propria coscienza, quando il figlio se n’esce da casa, mi dite: Ho paura, quando esce!  E io chiedo: “Paura”, perché? O è uno scimunito, o non avete fiducia. Scimunito non è, altrimenti non uscirebbe, dunque, non avete fiducia. Come mai? Forse perché non gli avete mai insegnato come comportarsi, come affrontare le difficoltà esterne, come individuare le cattive compagnie, com’evitare di ficcarsi nei guai, ………! Quindi, questa paura riflette in qualche modo un errore pedagogico commesso, e attraverso quella paura si vuole giustificare la propria coscienza. In ogni caso, rimane sempre il fatto che ve la prendete con i giovani.

Adesso concediamo che un lettore sia intenzionato a rimediare, e desideri riconquistare il figlio seguendo le indicazioni pedagogiche che ho suggerito. Intanto devo chiedere: “Quanti anni ha?” “15Anni!” Dico, “Quel che è fatto, è fatto”. Bisognava pensarci prima. Ormai è troppo tardi. Vedremo cosa succederà, sperando in bene. “MOLTO DIPENDE ANCHE DAGLI INCONTRI che farà nell’immediato futuro”. Un altro osserva: “Mio figlio ha 6 anni”. “Francamente è un pochino tardi, ma con la buona volontà di chi è preposto all’educazione, il recupero è possibile”. Un altro: “Mio figlio ha 2 anni”.  “Se si è bene intenzionati, onesti, sinceri, decisi a seguire una determinata linea di condotta, evitando successivi errori pedagogici, di quel bambino se ne può fare un genio”. Infine: “Mio figlio è alla sedicesima settimana, lo porto ancora in seno”.  “Perfetto!” Questo è il momento di ragionare. “Da ora tutto è possibile”. L’educazione, caro mio, incomincia, quando i bambini non sono ancora venuti alla luce.

L’orientamento è assolutamente questo: i giovani vanno incoraggiati, spronati, lodati, guidati, controllati, corretti, ma sempre, sempre amati.  Un motivo di lotta e d’incomprensione genitore-figlio dipende da un errato atteggiamento-base dei grandi. A volte il bambino chiede una roba che voi inizialmente non volete concedere, e dite: “No!” Il bambino piange, e voi dite ancora: “No!” Il piccolo si dispera, gli date  due schiaffi, e dite sempre: “No!”  Il furbacchione non si arrende e continua a lamentarsi. Per non sentire più quello strazio, dite: “Sì!” e lo accontentate! Grave errore pedagogico! Basta che ciò avvenga una sola volta, e gli avete insegnato a combattere e a vincere per tutta la vita. Quando si dice: “E’ un bambino capriccioso!” si afferma con limpidezza, l’incapacità educativa pregressa e si evidenzia l’amore negato. Se quei “No” detti inizialmente, dovevano poi sfociare in un “Sì”, perché non glielo avete detto sin dal primo momento miei cari?

Ho assicurato che è un problema grande se ciò avviene una sola volta, ma se per tutta l’infanzia e la fanciullezza, lo abbiate educato così, da ragazzo e da giovane vi farà piangere lagrime amare. Più l’età aumenta e peggio vanno le cose. Se è successo come sto riferendo io, non vi dovete lamentare dei vostri figli, o almeno, non lo andate dicendo in giro, per favore. Dalla famiglia alla scuola, e poi alla società tutta, il passo è breve. Anzi, non c’è alcun passo!

Il comportamento dei giovani è solo consequenziale. Abituati ad ottenere tutto in casa, mediante la lotta ed i capricci, pretendono di soddisfare tutti i loro desideri o pruriti anche a scuola, con tutti i mezzi a loro disposizione. Quando poi il controllo sfugge di mano ai grandi, interviene qualche legge in loro favore, e il caos è completo. Lo stesso succede anche nei riguardi del resto della società. Attenti! Del comportamento dei giovani in società, come conseguenza di tale orientamento pedagogico, ne parleremo in altra occasione.

Per ora finiamo di rispondere all’obiezione che mi è stata rivolta.

Terzo punto. Un genitore dice: Mio figlio non sa fare i compiti e mi fa disperare!  Rispondo: “Caro genitore, non ti disperare!” Andiamo con calma e analizziamo la storia di questo giovane fin dall’inizio. Ricordi? Quando andava in 1° elementare e tornava a casa con i ‘compitini’ da eseguire, cosa succedeva? Un familiare si metteva vicino e lo aiutava, se non addirittura glieli dettava o perfino glieli faceva. E così fino alla 5° elementare e forse oltre. Ho saputo che una persona eseguiva i compiti del bambino, mentre egli dormiva. Se in casa non era possibile aiutarlo, si mandava al doposcuola presso una maestra che aveva altri bambini. Anche qui forse, i compiti dettati. Così è successo che questo piccolo non si è mai esercitato ad eseguire i compiti o a studiare lezioni, perché ha sempre trovato un palo a sorreggerlo. Fattosi grande, e giunto alle scuole superiori, dove le lezioni sono difficili, e le ripetizioni private assai care, non ha più trovato un appoggio ed è crollato. Adesso è inutile disperarsi, non c’è più nulla da fare; la mente è bloccata per sempre ed egli non riesce più ad esprimersi. Tali lacune le poterà anche ai concorsi e le avrà anche quando malauguratamente siederà in cattedra per insegnare. Ormai è un circolo improduttivo difficile da spezzare, ma alla fine si deve pur spezzare.

Cari Genitori, mi sembra di aver risposto esaurientemente alla domanda posta all’inizio. Le cose che ho detto, le ho pronunciate in difesa dei giovani, è vero, ma non vogliono suonare offesa per alcuno. Del resto, non ho proposto ipotesi, ma ho solo raccontato fatti. Mi è parso giusto evidenziare che non dobbiamo prendercela con i giovani per giustificare la nostra coscienza. Lamentarsi dei propri figli fa ridere, oltre che fa pena. Un bel elogio per un figlio sembra la risposta che diede il Mago Merlino a Lancillotto: Senza di te sopporto la vita, con te è una gioia continua. Mettiamoci un poco di buona volontà, esaminiamo a fondo la nostra coscienza, siamo sinceri con noi stessi e, almeno con me, non parlate male dei giovani. Con l’invito a riflettere su quanto detto, ho finito con i genitori e li saluto con Seneca: Longum iter est per praecepta, breve et efficax per exempla.

Fine.

 

GIOVANI

 

Dom.) Non so che dire! Certo che la pedagogia è davvero affascinante! Ne sapevo tanto poco! Ti assicuro che la cosa mi entusiasma. Ora dev’essere interessante anche la lettera ai giovani!

Risp.) Cari giovani, amici, studenti, alunni,

Spero che siate in molti a leggermi, anche se non ci possiamo vedere “de visu”. Francamente parlarvi da un libro non mi trovo a mio agio. Quando non posso guardare in faccia le persone a cui mi rivolgo, mi manca la parola, però mi devo pure sforzare ad utilizzare i mezzi di comunicazione. In ogni caso, devo dire due parole anche a voi. Cari Amici, un fatto è certo: il mondo di domani sarà nelle vostre mani.

Fra qualche anno voi sarete genitori, voi sarete professori, uomini delle forze armate, voi amministrerete la giustizia, guiderete le sorti del comune, voi sarete al governo del Paese, voi eleggerete e sarete eletti. Questo pensiero vi deve inorgoglire e far tremare al tempo stesso. Inorgoglire, perché sarete “qualcuno” importante, tremare al pensiero di prepararvi bene al compito che vi aspetta. Ne consegue che dovete impegnarvi al massimo, acculturarvi convenientemente ad espletare il vostro mandato con deontologia professionale e con rettitudine morale. Voi siete convinti, e tutti lo sono, che la scuola non vi prepara in modo adeguato. Ebbene, ricordate che la scuola orienta, la preparazione vera è quella che riuscite ad accaparrarvi da soli, con le vostre forze, con la vostra volontà, con la vostra intelligenza. Nel periodo più bello della vostra vita, dai 6 ai 19 anni, siete costretti a sacrifici enormi, è vero, e allora non fate in modo che questi sacrifici siano anche inutili, lasciandovi nella vita a bocca asciutta.

Domani sarete genitori. Meditate e riflettete sugli errori pedagogici commessi oggi nei vostri  riguardi, e pensate al modo per non ripeterli con i vostri figli.

Domani sarete professori.  Quante lamentele, al presente, si sentono sui professori. Invece di star lì a brontolare, pensate come gli alunni di domani vorranno essere istruiti e trattati, e fate in modo che il male che oggi voi dite degli insegnanti, non lo dicano di voi i vostri alunni.

Domani sarete membri delle forze armate.  Riflettete sul comportamento degli agenti, e se vi accorgete che ci sono dei motivi per i quali i cittadini non sono contenti del loro operato, studiate in che modo vorreste voi stessi essere trattati, e preparatevi a farlo con i giovani del futuro.

Domani amministrerete la giustizia. Quanti dubbi fa spesso sorgere, e quanta curiosità a volte procura l’amministrazione della giustizia a causa di una non chiara legislazione. Il vostro animo tendenzialmente buono e la vostra intelligenza pur alle prime armi nel campo della disquisizione logico-etica traggono delle conclusioni obiettive ed oneste intuitivamente. Perché non scrivete un vostro diario personale sui problemi attuali della giustizia, aggiungendo alla fine, cosa avreste fatto voi al posto del giudice? Da grandi avreste un manuale scritto da voi, e avreste già aperta la strada per fare agli altri ciò che non è piaciuto essere stato fatto a voi oggi.

Domani guiderete le sorti del Comune, o avrete in mano le redini del Paese. Anche qui lo stesso consiglio di prima, riflettete sull’oggi e organizzatevi per domani.

Domani eleggerete e sarete eletti. Incominciate fin d’adesso a pensare chi dev’essere eletto, per non lamentarvi poi della scelta. Se sarete eletti, siate seri, e quel che promettiate, mantenetelo. Non siate nepotisti. Sistemate le persone giuste al posto adatto e nel momento necessario. Sviluppate ogni settore del lavoro senza parzialità e fate s’ che ognuno si senta orgoglioso e fiero del lavoro che svolge.

Date impulso alle privatizzazioni e incoraggiate l’imprenditoria privata. Ponete fine all’assistenzialismo truffaldino, e pretendete dai pubblici impiegati un comportamento d’educazione civica verso gli utenti. Mandate a buttar pietre a mare gli impiegati fannulloni e disonesti. Organizzate una scuola nuova. Fine.

La scuola tutto questo non ve lo insegna e non lo può insegnare. La scuola insegna, o dovrebbe farlo, a ragionare. La scuola vi apre la strada della ricerca, v’insegna a consultare libri e scritti in genere, vi pone nelle mani gli strumenti del lavoro, vi indica la strada della vita. Ma chi deve camminare, e chi deve utilizzare i ferri del mestiere, siete voi. Se ciò non lo imparate, i problemi saranno solo vostri. Nel periodo della formazione, ogni errore, ogni sbaglio, ogni omissione, è perdonato e corretto. Nella vita non ci sarà più nessuno ad aiutarvi, e ogni sbaglio, anzi il primo sbaglio, sarà un’occasione per essere messi da parte, sarà aspettato dagli altri per fare di voi uno sgabello per i propri piedi, sarà un modo per essere eliminati ed essere rimandati sul lastrico. Attenti allora: nella vita non commettete mai il primo sbaglio!

Il programma che vi ho proposto, cari giovani, è superbo ed impegnativo, e per poterlo realizzare, sono convinto, non basta aver letto queste pagine. Occorre discuterne, esprimersi, essere ascoltati e guidati in questo senso da persone in cui potete, vi sentite, di riporre la massima fiducia. Per quanto mi riguarda, è il mio mestiere.

Con i giovani ho finito e li saluto con Cicerone: usus magister est optimus.

 

PROFESSORI

 

Dom.) Certo che ci sai fare! I giovani saranno contenti e felici dopo avere letto queste righe. Penso che sarai dolce anche con la lettera ai tuoi colleghi.

Risp.) Cari Amici, Professori, Docenti, Maestri, Colleghi.

Il lavoro che abbiamo scelto è delicato e rischioso, può darci enormi soddisfazioni o buttarci nell’amarezza più deludente, può renderci padri amorosi o torturatori crudeli, può assorbirci completamente o può lasciarci indifferenti e dediti ad altro. In ogni caso, il nostro lavoro, sempre e comunque, ci pone dei problemi di coscienza, e ognuno di noi è solo, terribilmente solo, lui e la sia coscienza, per risolverli. Ascoltate al riguardo il mio parere, o meglio, la mia convinzione.

Il lavoro che abbiamo scelto è delicato e rischioso. Meglio ancora, se i due aggettivi, si trasformano in superlativi. Delicato, perché ci troviamo di fronte a giovani sulla cui anima si può scrivere di tutto, il cui carattere può essere modellato in una certa maniera, la cui intelligenza si può sviluppare in una direzione o nell’altra, la cui volontà si può agguerrire e orientare secondo l’impegno che noi chiediamo agli allievi. Tutto ciò deve farci tremare, in quanto ognuno di noi singolarmente e tutti insiemi congiuntamente, siamo corresponsabili, con i genitori, del rendimento del giovane per tutta la sua vita.  Rischioso, perché ogni nostro errore pedagogico può disorientare l’allievo, e menomarlo definitivamente per il futuro, psichicamente e intellettualmente. Se ci disinteressiamo di loro, stamperemo nelle loro menti il disinteresse per l’umanità, il menefreghismo, l’egoismo, prepareremo insomma, un mondo di lupi contro lupi. Se non ci presentiamo in cattedra con la dovuta competenza, insegneremo la superficialità, il pressappochismo, la mediocrità, con il rischio che il progresso si arresta per colpa nostra.

Il nostro lavoro può darci enormi soddisfazioni. Credo che non ci sia premio più ambito e lusinga più affascinante che osservare, toccare con mano, constatare con i fatti il progresso dei nostri allievi. Pensate ai bambini di 1° elementare, nudi all’inizio dell’anno di qualsiasi nozione culturale, vederli dopo 200 giorni, scrivere e leggere con una certa nonscialance. Pensate agli anni seguenti, fino alla V, e via-via, fino alla maturità. In 13 anni d’insegnamento possiamo trasformare il mondo a nostro piacimento. Se tutto questo non vi affascina, ditemi! Nella vita, che cosa vi sbalordisce?

Il nostro lavoro può buttarci nell’amarezza più deludente. Da una parte, bisogna mettere in programma anche questo, calcolato come rischio del mestiere, dall’altra, diciamolo francamente, dipende pure dal nostro egoismo. Ma c’è un terzo motivo, il più grave forse, ed è la gestione attuale della scuola. Cari Colleghi, chi lavora con l’elettricità può rimanere fulminato, gli acrobati possono cadere, chi lavora nei campi può darsi la zappa sui piedi, noi, che lavoriamo a scuola, possiamo rimanere delusi. Ma la delusione non è la morte, e come voi sapete, solo alla morte non c’è rimedio. Dunque, cerchiamo di superare le delusioni che fatalmente ci vengono, anche se non le cerchiamo, indagando sinceramente nella nostra coscienza. Non partiamo dal fatto che “il mondo è male”, che “la gioventù è corrotta”, che “non possiamo farci niente”! Diamo un tocco di giovialità al nostro mestiere, sforziamoci di amarlo, scopriamo i lati buoni che indubbiamente ci sono, come in tutte le cose umane, e credetemi, spunterà un’alba rosea dinanzi a noi, e noi stessi saremo i primi ad esserne affascinati.

Disgraziatamente la scuola italiana, lentamente sta precipitando sempre più verso il basso, complice anche la mediocrità didattica e la non approfondita formazione universitaria circa la “comunicazione o trasmissione del messaggio”.

La riflessione non vuole suonare offesa verso i docenti più giovani, però li invito a rivolgersi alla loro coscienza, nel silenzio della propria intimità, per dire a se stessi quale competenza hanno acquisito, in che modo, e se ne sono fieri. Il nostro lavoro può renderci padri amorosi. Se partiamo dal presupposto che gli alunni, finché sono affidati al docente, sono figli suoi, le cose cambiano completamente aspetto. Cosa farebbe un padre per i suoi figli? Come li vorrebbe? Cosa desidererebbe da loro? Ecco, questo è il comportamento professionale del docente.

Il nostro lavoro può anche renderci torturatori crudeli. Con quale coraggio osiamo mortificare un allievo?  Con quale criterio permettiamo che gli altri compagni ridono per una questione posta al maestro da uno di loro? Perché li apostrofiamo con parole che nemmeno i cani si direbbero tra loro? Perché li rimproveriamo se non sanno esprimersi? Perché usiamo punizioni come sospensioni o bocciature? Quale vantaggio se ne ricava? La situazione migliora o peggiora? Cosa credete di ottenere, amici miei, tenendoli impauriti e inchiodati sui banchi senza fiatare? Disgraziatamente, o si usano queste forme di tortura, o si è così lassisti da farci accoppare. Né l’uno, né l’altro. La via giusta è: trattarli con amore e competenza, disciplina e rispetto, in un unico atteggiamento.

La disciplina, a sua volta, altro non è se non una risposta d’amore all’amore da noi manifestato loro. Con i prof ho finito e li saluto con Gregorio Magno: plus enim plerumque exempla quam ratiocinationis verba comungunt.   

Dom.) Penso che possa bastare. Vogliamo concludere?

Risp.) Per finire voglio rivolgere un ringraziamento sentito a quanti mi hanno lusingato della loro attenzione e agli stessi indirizzare un augurio sincero così concretizzato: la pace nel mondo si può ottenere con tutte le cose che sapete, ma anche con delle maggiori intese giovani-adulti.  Grazie! 

Antonino Cappiello

Bibliografia.

Martini, Il futuro dei nostri figli.

Sara Vinello, Scuole di Provincia, che sfascio.

Felice Froio, Tutti in classe, a lezione d’emergenza.

 Giovedì 15 novembre 2007

Ton Cap

Traduzione

Italian English French German Portuguese Russian Spanish

Orologio