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LEZIONE 22

PIAGET e MONTESSORI

Jean Piaget, psicologo, Neuchâtel CH, 1896-1960.
Maria Montessori, medico, Chiaravalle AN, 1870-1952.
Regista.) In questa lezione XXII ci vuoi tenere informati delle indicazioni pedagogiche di due studiosi sulla prima infanzia, dico bene?
Rispondo.) Sì dici bene, e accontento subito te e gli ascoltatori. Tra i moderni cultori della pedagogia, ve ne sono due che hanno un orientamento marcatamente comune, lo svizzero Iean Piaget e l’italiana Maria Montessori. Negli ultimi tempi vi è stata un’accentuata rinascita d’interessamento all’opera di questi due grandi, e sono certo che sarà utile anche per noi conoscerne il pensiero. Tra tutte le ragioni d’interessamento per gli studiosi, sembra che due emergono principalmente sopra le altre senz’ombra di dubbio:

Piaget e Montessori hanno scoperto
Aspetti del pensiero e del comportamento
Infantili fino allora imprevisti e sconosciuti.
Entrambi hanno reso esplicite leggi generali
E principi basilari concernenti
Il modo di pensare e il
Comportamento del bambino
Attraverso le osservazioni da loro compiute.

Nel caso della Montessori, quelle osservazioni condussero ad una teoria pedagogica nuova. Nel caso di Piaget, ad una nuova filosofia della conoscenza.
Fra i molti parallelismi che si notano, uno dei più generali e profondi è l’orientamento prevalentemente biologico, in base al quale essi affrontano e approfondiscono il pensiero e il comportamento del bambino. Il fatto più rilevante è che gli studiosi in parola, considerano lo sviluppo mentale un prolungamento di quello biologico, governato dalle stesse leggi e principi. Del resto, ciò non sorprende, se si considera la loro preparazione accademica. Secondo Piaget, se certe strutture mentali sono presenti in un individuo, vuol dire che esse sono presenti nella specie umana in quanto tale, e da cui il singolo soggetto deriva, ora in modo più accentuato, ora in modo più sfumato. Secondo la Montessori, certi bisogni e certe facoltà sono comuni a tutti i bambini anche se più spiccatamente nell’uno e meno nell’altro. I tratti emergenti per tutti sono: i periodi sensibili e le esplosioni esplorative.
In ogni caso, i due studiosi manifestano quella particolarissima attitudine di mettersi nei panni del bambino. Leggendo le loro opere si prova la strana sensazione che essi riescano in qualche modo a penetrare nella psiche dei bambini ed a comprendere esattamente ciò che essi pensano e provano, e perché fanno quello che fanno in un determinato momento. Questa eccezionale attitudine è ciò che dà loro un forte accento di verità indipendentemente dalle ricerche sistematiche su cui si poggiano.
PIAGET si è interessato del bambino per rispondere agli interrogativi circa la natura, l’origine e lo sviluppo della conoscenza. Egli ha dato un ottimo contributo nei campi della logica e dell’epistemologia. [Epistemologia, dal greco epistèmi + logos, conoscenza + studio, si occupa dei fondamenti teorici e dei criteri metodologici delle scienze, per verificarne la validità sotto il profilo logico].
Montessori, si occupò in via primaria dei problemi concernenti il benessere del bambino in maniera concreta. Lei dedicò gran parte della sua esistenza all’addestramento d’insegnanti e genitori per liberare il bambino da una pedagogia dannosa al suo sviluppo.
Reg.) Quali conclusioni pratiche possiamo trarre dopo questa sintetica descrizione del pensiero dei due studiosi?
Risp.) Pur da questa sommaria descrizione, come dici, del pensiero dei due grandi, vediamo di trarre qualche conclusione pratica. (1) Se il bambino è normale, non vi sono dubbi sulle sue capacità d’apprendimento. Il qual, è direttamente proporzionale al tipo d’allevamento ricevuto: Allevato bene, apprenderà di più e meglio, allevato male apprenderà poco o niente. (2) L’apprendimento varia nel tempo, con periodi favorevoli e contrari. Se l’educatore sarà in grado di captare il momento giusto per l’insegnamento giusto, creerà un genio, se si lascia sfuggire il giusto momento senza intervenire, o agendo con la forza, non solo non ci sarà apprendimento, ma si stimolerà odio alla cultura, e ribellione verso i grandi e verso la società in generale. (3) Il gioco, il comportamento ripetitivo, la manipolazione, sono manifestazioni esteriori di sviluppo conoscitivo, d’innato bisogno all’apprendimento, tutte capacità che si consolidano attraverso l’esercizio. Se si dà spazio per queste attività, i bambini cresceranno sani, equilibrati, colti, ma se ne sono deprivati, non ci dobbiamo scandalizzare poi, per la loro insania, per il loro squilibrio, per la loro ignoranza.
Chiarite le linee di principio, comuni ai due educatori, vediamo di conoscerli più in profondità, parlando separatamente dell’uno e dell’altro.
Reg.) Prima di parlare delle scoperte di Maria Montessori, accenna brevemente alla sua vita, per capire meglio l’iter che l’ha condotta a tali risultati. Grazie.
Risp.) Maria Montessori fu una delle figure più importanti del movimento di riforma pedagogica che si manifestò all’inizio del XX secolo a favore dei metodi attivi. Maria Montessori nacque il 31 agosto 1870 a Chiaravalle in provincia d’Ancona. Il padre Alessandro era militare di carriera. La madre, Renilde Stoppani, era una donna piena di fascino, d’affetto e di comprensione per la figlia, e la sostenne in tutte le vicissitudini della vita. A 12 anni Maria si trasferì a Roma con la famiglia. Attratta dalla biologia, si laureò in medicina nel 1896, la prima donna medico d’Italia. Si specializzò nello studio delle malattie nevose dei bambini, e nello stesso anno 1896, ebbe l’incarico d’assistente alla clinica psichiatrica dell’Università di Roma. Visitando gli ospizi degli alienati dove s’internavano adulti e bambini, una sorvegliante le spiegò: Dottoressa, appena i bambini hanno terminato il loro pasto, si gettano a terra per raccogliere le briciole! La Montessori si guardò attorno e vide che la sala era vuota, non c’era nemmeno un oggetto che poteva essere preso in mano e manipolato dai bambini. L’avidità dei piccoli ritardati per le briciole del pasto, gli apparve tutt’altro che bestiale. Ebbe l’intuizione che si trattava di un intenso bisogno d’attività manuale, la sola capace d’esercitare la loro deficiente intelligenza.
Dal 1899 al 1901 diresse la Scuola Ortofrenica di Stato dove erano raccolti gli allievi considerati irrimediabilmente deficienti nelle scuole ordinarie. Alla fine dei due anni, i bambini posti sotto la sua tutela, avevano fatto progressi notevoli, tanto da poterli presentare agli esami d’ammissione alla scuola pubblica per bambini normali.
Mentre si applaudiva al miracolo, Maria Montessori rimaneva insoddisfatta, e pensava tra sé: Mentre tutti ammirano i miei idioti, io cerco invece le ragioni che possono tenere bambini sani e normali delle scuole ordinarie ad un livello di cultura così modesto, da essere superatri dai miei sfortunati alunni nei test d’intelligenza proposti a tutti. Mi devo convincere che i miei metodi, applicati a bambini normali, possono liberare la loro personalità in modo sorprendente. Al tempo di Maria Montessori, il Quartiere San Lorenzo a Roma, era sordido e malfamato. L’Istituto Romano dei Beni Stabili aveva costruito un insieme di abitazioni per alloggiare un migliaio di persone povere. Nella maggior parte di queste famiglie il padre e la madre erano obbligati a lavorare tutto il giorno fuori casa. Essi non potevano occuparsi dei figli, ed i più piccoli abbandonati tutto il giorno a se stessi, scavalcavano i muri, correvano per le scale, creavano disordini. Il Comune pensò di cercare una sorvegliante per questi bambini e fu proposto a Maria Montessori di interessarsene. La dottoressa, trovando in ciò l’occasione sperata per provare con i bambini normali, i metodi che erano così ben riusciti con i ritardati, accettò subito.
Reg.) E come si regolò? Cosa incominciò a fare?
Risp.) Chiamò la scuola, ma era un solo locale, Casa dei bambini. Erano una cinquantina, poveri, timidi ed analfabeti. Non le fu possibile trovare una maestra per un tale posto. Allora si rivolse ad un’operaia che aveva fatto qualche studio e le disse di fare la maestra dei bambini. Maria Montessori preparò molto materiale, e spiegò alla maestra come farlo usare ai bambini: scope, bottoni, annaffiatoi, vasi per fiori, colori, odori, suoni, oggetti lisci e ruvidi, altezze, pesi, volumi, bacchette, cubi, forme geometriche, puzzle, ecc. Questo materiale, diceva, dà molto spazio alle attività quotidiane più semplici: lavare, scopare, mettere in ordine.
Un poco alla volta, passando attraverso l’affinamento dei sensi, giunse fino alle nozioni scolastiche tradizionali, quali calcolo, lettura e scrittura. Per sua natura, il bambino normale, è un esploratore nato, appassionato dell’ambiente che lo circonda. Non è necessario stimolarlo affinché impari rapidamente a servirsi del materiale destinato ad aiutarlo a classificare, ordinare, nel suo spirito, le percezioni dei sensi. L’utilizzazione del materiale da parte dei bambini permise alla dottoressa di fare notevoli scoperte. Ad esempio: quando furono messe bambole e robe simili alla portata dei bambini, essi non se ne servivano; guardavano per un momento e poi tornavano ai giochi sensoriali per manipolarli a lungo, e scoprire il loro nascosto segreto. Maria pensò: Adesso ho capito che il gioco è qualcosa d’inferiore alla vita del bambino, perché vi ricorre in mancanza di qualcosa di meglio. C’è di sicuro qualcosa nella sua anima, di più elevato e che prevale sulla futilità. Quando il bambino può fare un lavoro che lo interessa, non ha bisogno di ricompensa per eseguirlo. Il piacere di lavorare è uno stimolo sufficiente per lui; e prima di una certa età, non è abbastanza socializzato da comprendere il significato delle punizioni scolastiche usuali. Il materiale per i bambini era conservato in un grande armadio. Al mattino la maestra apriva l’armadio e distribuiva il materiale. A sera lo raccoglieva e chiudeva l’armadio a chiave. Maria annotò: La maestra mi raccontò che mentre era intenta in quest’operazione, i bambini si alzavano e si avvicinavano. La maestra li rimandava al loro posto ed essi ritornavano. La maestra concluse che i ragazzi erano disobbedienti. Osservandoli io personalmente, compresi il loro desiderio di mettere loro stessi gli oggetti a posto. Li lasciai liberi di farlo. Da questo nuovo metodo nacque una vita diversa. Mettere gli oggetti a posto, fronteggiare ogni eventuale disordine, era per loro un’operazione piena d’interesse.
Una mattina la maestra arrivò in ritardo. La sera prima aveva dimenticato di chiudere l’armadio a chiave. Trovò i bambini riuniti davanti all’armadio e del quale avevano aperto le porte. Ognuno aveva scelto il suo oggetto e cominciava a lavorare. La maestra s’irritò. La dottoressa, consultata, vi scorse una prova del loro piacere per il lavoro, e permise che scegliessero essi stessi le loro attività. La classe non era più una scuola nel senso tradizionale, per ricordare che implicava un’inferiorità del bambino nei confronti dell’adulto, ma una casa dove egli poteva andare e venire liberamente. La maestra non troneggiava più sulla cattedra, non ordinava, ma passava tra i banchi e li aiutava, quando n’avevano bisogno.
Reg.) I bambini riescono a concentrarsi? In genere si pensa che siano spensierati, superficiali, poco approfonditi. E’ vero?
Risp.) Un’idea molto diffusa sul bambino è che sia incapace di concentrarsi, avrebbe tendenza a passare incessantemente da un’attività all’altra senza approfondire niente. Se si giudica in questo modo, significa che si considerano degne d’attenzione solo le attività che riguardano gli adulti. Non è così! La gran concentrazione su attività apparentemente inutili ai grandi, dipende dal fatto che il bambino non nasce con un cervello già completo, come vedremo in Piaget. Bisogna insegnargli nozioni per noi evidenti, come la stabilità o permanenza dell’oggetto, la conservazione della materia, il numero, il peso, il colore, la distanza. Tali acquisizioni possono avvenire solo con la manipolazione frequente degli oggetti d’ogni specie. Attenzione! Per ogni acquisizione intellettuale esiste un periodo sensibile durante il quale l’interesse del bambino è particolarmente orientato verso l’esercizio sensoriale che permette l’acquisizione. Se l’adulto rispetta i bisogni d’esercizio del bambino in ogni periodo sensibile, facilita il suo sviluppo, sul piano fisico e mentale.
Reg.) Circa l’apprendimento delle lingue, cosa ci puoi dire?
Risp.) E’ stato provato che il bambino può apprendere qualsiasi lingua oltre alla lingua madre, se si esercita, quando è piccolo. Passata una certa età però, si perde l’attitudine a pronunciare con certi accenti. Con l’età adulta si è addirittura incapaci d’imparare a parlare con accento corretto una lingua diversa dalla propria. L’educatore deve fare tutto il possibile per conoscere e rispettare gli interessi particolari del bambino in ogni periodo sensibile del suo sviluppo intellettuale. Non si deve per niente considerare il piccolo come una riduzione imperfetta dell’adulto per farlo entrare a forza in una forma già preparata. Il bambino ha la sua personalità, i suoi bisogni, i suoi metodi, i suoi tempi, e se si rispettano, egli si sviluppa meglio e più in fretta.
Reg.) Disciplina e libertà! Quante discussioni al riguardo! Cosa ne pensa Maria Montessori?
Risp.) Disciplina e libertà, è un dilemma irrisolvibile nella scuola comune, perché si ha un concetto diverso della disciplina. Non si arriva a capire purtroppo, che anche la disciplina è un’attività d’insegnamento, e che pertanto dev’essere attiva. Disciplina è una cosa, disciplinare il movimento è un’altra, molto più difficile ad eseguirsi. Riflettete: non è detto che sia disciplinato un individuo reso artificialmente silenzioso come un muto, e immobile come un paralitico. Quello è un individuo annientato, non disciplinato. Si consulti in proposito: La scoperta del bambino, Garzanti, Milano 1968. La dottoressa Montessori ed io, chiamiamo disciplinato, un individuo che è padrone di se stesso, capace di essere responsabile quando necessario, e di seguire una regola di vita conforme alla ragione e al buon vivere. Il concetto di disciplina attiva, è difficile a comprendersi e ad attuarsi, ciononostante contiene un alto principio educativo, e solo pochi docenti sono all’altezza della situazione. I più amano la coercizione.
La maestra deve usare una tecnica speciale per guidare il bambino in questa direzione, con quella disciplina con cui dovrà camminare per tutta la vita, fino alla perfezione. Noi non possiamo immaginare le conseguenze di un atto spontaneo soffocato, nel momento in cui il bambino comincia ad agire: non è da escludersi che soffochiamo la vita stessa. L’umanità che si manifesta nei suoi splendori intellettuali, nella tenera e gentile età infantile, va rispettata con religiosa venerazione. Se un atto educativo sarà efficace, sarà solo quello che tende ad aiutare il completo dispiegarsi della vita. Amen.
Ho finito. Grazie per l’attenzione.
Bibliografia.
Antropologia Pedagogica, Vallardi, Milano 1910.
La morale sessuale dell’educazione tra madre e figlio, Roma 1911.
Manuale della pedagogia scientifica, Morano, Napoli 1935.
Il bambino in famiglia, Garzanti, Milano 1957.
L’autoeducazione nelle scuole elementari, Garzanti, Milano 1962.
Formazione dell’uomo, Garzanti, Milano 1968.
Il segreto dell’infanzia, Garzanti, Milano 1968.
La mente del bambino, Garzanti, Milano 1968.
La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 1968.
Sorrento, lunedì 10 dicembre 2007
Antonino Cappiello
Regista.) Parlaci ora di Jean Piaget e delle sue scoperte sul pensiero infantile.
Rispondo.) Iean Piaget divenne una celebrità nel mondo dell’educazione per i suoi studi sull’epistemologia e sulla psicologia. Nacque a Neuchâtel, Svizzera, il 9 agosto 1896. Studiò biologia e si laureò in scienze nel 1918. Dal 1921 fu Direttore dell’Istituto di Psicologia, poi ottenne la docenza di Psicologia Sperimentale all’Università di Ginevra dove iniziò ad approfondire:
Il pensiero infantile spontaneo.
Lo sviluppo delle percezioni infantili.
Le relazioni tra l’affettività e l’intelligenza,
Nello sviluppo mentale del bambino.
Come ora vedremo.
La scienza della conoscenza, vale a dire l’epistemologia, fino a Piaget, era parte della filosofia. Fu opera dello studioso distaccarla dalla madre e farne una scienza a se, una scienza propriamente detta. Affrontiamo subito il problema con una serie di domande:
Che cosa significa sapere?
Come conosciamo ciò che conosciamo?
Come facciamo a sapere che ciò che conosciamo,
E’ reale e non solo un’apparenza della realtà?
O almeno uno dei suoi aspetti?
A quali condizioni si ha il diritto di parlare di conoscenza?
Come si vede non è un problema facile da risolvere, però non è nemmeno impossibile, se per aspera ad astra. In ogni caso, la fatica per approfondire il tema, sarà ampiamente ricompensata, quando sarà in grado di risolvere problemi fino allora sconosciuti. Noi con lui, lavoriamo per capire i nostri giovani e renderli migliori. Basta questo per stimolarci.
Reg.) Grazie. Torniamo alla conoscenza del bambino e illustraci come si sviluppa l’intelligenza umana. Sarà un problema affascinante! Dico bene?
Risp.) Dici bene, torniamo alla conoscenza. Dice Piaget: la conoscenza non deve essere più considerata come un problema di speculazione, come dire, parlare per ipotesi, ma deve diventare un problema di verifica. Insomma, la conoscenza deve basarsi sui fatti, non sulle idee. Bisogna cercare di capire il modo con cui l’individuo conosce il Mondo. Di qui la domanda base: Come si sviluppa l’intelligenza umana? Dalla nascita allo stadio adulto, quali tappe segnano la conoscenza del Mondo, che è la prima forma di conoscenza del soggetto? Sembra quasi che Piaget, oltre che epistemologo, sia anche uno psicologo! Infatti, è così. Egli iniziò la sua carriera di ricercatore puntando sull’epistemologia, e poi gradualmente si specializzò in psicologia. Ed è sotto quest’ultimo aspetto che lo conosceremo meglio nelle pagine che seguono. Prima di procedere occorre una premessa. Nelle lezioni precedenti vi tenni informati che bisognava essere molto accorti nell’educazione dei giovani, specialmente all’inizio della loro vita, poiché ogni risposta, ogni indicazione, ogni suggerimento, ogni esempio, può essere decisivo per il loro futuro orientamento. Purtroppo non sapremo mai, quando il giovane è colpito, quando una parola o un gesto lo segnerà definitivamente, e di conseguenza come si svilupperà la sua esistenza. Di qui la necessità di essere sempre attenti e coscienziosi. Ritorniamo a Piaget.
Il bambino Jean era naturalmente inclinato all’osservazione dei fatti: guardava, s’interessava, voleva sapere, come fanno i nostri piccoli. A 10 anni scrisse una pagina d’osservazioni su un uccello semi-albino. La passione di sapere lo induceva a recarsi spesso in visita al Museo di Scienze Naturali di Neuchâtel, dove fece amicizia con il Direttore fino a fare dei lavoretti per lui quando richiesto.
In cambio dei servigi, il Direttore regalava a Jean delle conchiglie, e gli insegnava a classificarle secondo le norme stabilite dalla scienza naturale. Il ragazzo si appassionò alla malacologia, e un poco alla volta, alle scienze, fino a laurearsi appunto in “scienze” nel 1918. Come avrete capito, la malacologia è la parte della zoologia che studia i molluschi.
Probabilmente il Direttore del Museo morì senza nemmeno sapere che regalando quelle conchiglie ad un ragazzino, e insegnandogli a classificarle, aveva aperto la strada a quel Jean che sarebbe stato un futuro genio. Se l’avesse mandato via dal Museo per timore che combinasse guai, forse l’umanità sarebbe stata deprivata per sempre di conoscenze utili all’educazione dell’infanzia. Ogni essere è unico nel suo genere, e una volta perduto, non capiterà una seconda occasione. Rifacciamo il ragionamento per i nostri figli e alunni, per quelli nati e per quelli non fatti nascere. L’educazione familiare e scolastica possono guidarli alle stelle, ma possono anche bruciarli irrimediabilmente. Ogni tanto, nel chiuso della mia intimità, penso e ripeto con Manzoni: Nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirto più vasta orma stampar. A chi mi legge suggerisco e prego di evitare sempre per i vostri figli e alunni il giudizio tremendo e offensivo che don Abbondio pronunciò per Lucia: Sembra un’acqua cheta e una madonnina infilzata.
Reg.) I bambini ragionano con una logica propria, hanno tanta fantasia, danno realtà al sogno, discorrono in modo diverso dal nostro. Come si arriva da grandi, al cambiamento di mentalità?
Risp.) Interrogando i bambini, Piaget si rende conto che essi ragionano con una logica tutta loro, non sono come noi vorremmo che fossero. Così, si domandò: come avviene il cambiamento di mentalità nell’età adulta? Quali meccanismi concorrono? Posto così il problema incomincia a domandarsi, come a pagina 13.
Come ragiona il bambino?
Come vede il Mondo?
Fino a che punto influisce l’educazione?
D’altro canto, anche agli inesperti appare chiaro che il bambino non ha una logica sicura: collega tutto con tutti e con qualsiasi cosa. Questo pensiero, se pure vogliamo chiamarlo irrazionale, è imprevedibile, segue l’ispirazione del momento, subisce l’influenza più immediata. Il bambino piccolo tende ad attribuire un’esistenza materiale alle fantasie, ai sogni, alle gioie, alla tristezza. Dà anima al vento e agli alberi, e così appare come un essere a parte, e non un adulto in miniatura, al quale spesso si assimila e come più spesso si pretende.
Sul piano morale, le sue reazioni sono improntate al realismo, e perciò egli rispetta i grandi. Della giustizia ha un concetto retributivo: la punizione è in funzione degli atti, non delle intenzioni. A causa di tutti questi motivi fanno breccia nel suo animo, favole, giochi, racconti fantasiosi, ecc, visti come reali. A tale riguardo si commettono gravi errori pedagogici e con gravissime conseguenze. Il primo errore consiste nel dire: Ma com’è scemo questo bambino, crede a tutto quello che gli si dice!
Il secondo errore. I grandi vedendolo giocare, dicono tra loro: Poverino! Vedi come gioca felice! Chissà che crede di fare con quelle scemenze! Lascialo stare! Fa cose della sua età! Altro errore. Parlando di robe scabrose, come sesso, redditi, aborto, imbrogli, e peggio, qualcuno dei grandi si mostra imbarazzato di continuare alla presenza del piccolo e vorrebbe tacere, ma l’altro aggiunge: Parla, parla, è piccolo, non capisce! Per non usare la parola “scemo”, che poi è il concetto che i grandi hanno dei piccoli. Tutto ciò ed altro ancora, impressiona male l’animo del piccolo al sentirsi così valutato, altro che non capisce, e gli infonde la voglia istintiva di liberarsi da quelle persone miscredenti, di combatterle e di distruggerle.
La voglia di liberarsi è tanto più sentita, in quanto affonda le sue radici nell’inconscio. Il bambino, da grande, sarà un ribelle senza nemmeno saperlo, ma l’istinto gli dice di esserlo. Volete ancora incolpare i giovani?
Ecco il problema: per comprendere il pensiero irrazionale egocentrico del bambino bisogna studiare le radici dell’individuo, ancor prima dell’acquisizione del linguaggio, bisogna risalire il più lontano possibile verso la sorgente della conoscenza, verso l’origine del meccanismo che permette la conoscenza. In altre parole, bisogna ricostruire la genesi della conoscenza. Ed è in questo senso che si deve intendere la parola genetica nell’espressione epistemologia genetica. Per finire, la conoscenza è un processo, più che un fatto. Dunque, per comprenderne le ragioni ed i meccanismi, è necessario conoscerne tutte le fasi, o almeno il più possibile.
Reg.) Lo so! Sono troppo esigente! Desidero sapere come deve procedere il genitore? In quale modo deve osservare il piccolo fin dalla nascita?
Risp.) Una volta capita tutta la problematica infantile, incominciamo ad osservare il bambino fin dalla nascita per renderci conto in che modo lo sviluppo fisico e quello psichico siano strettamente collegati, e di conseguenza quale pedagogia usare per una sua corretta crescita. Secondo Piaget, l’intelligenza si sviluppa in 6 momenti attraverso continue concatenazioni. Il bambino passa dalle reazioni riflesse e istintive, di cui lo ha dotato l’eredità della specie, fino ad arrivare all’intelligenza pratica. Tre momenti precedono l’acquisizione del linguaggio:
Lo stadio dei riflessi.
Lo stadio delle prime abitudini motrici.
Lo stadio dell’intelligenza pratica o senso- motrice.
Poi, dall’acquisizione del linguaggio, abbiamo:
Lo stadio dell’intelligenza intuitiva.
Lo stadio delle operazioni intellettuali concrete.
Lo stadio delle operazioni intellettuali astratte.
Vediamo di chiarire. Inizialmente il bambino agisce con dei movimenti detti riflessi organici istintivi: succhiare nel vuoto, succhiare il seno della madre, ecc. Con il passare del tempo, questi riflessi diventano condizionati, succhiare il pollice o la coperta, attaccarsi al seno ad orari fissi, ecc. Infine, diventano, senso motori condizionati, portare il pollice alla bocca non è più un istinto.
Verso il primo anno compaiono comportamenti che dimostrano intelligenza vera e propria e pertanto sottendono un’intenzione. Infatti, è l’intenzionalità che caratterizza l’intelligenza. Qualche esempio più noto. L’occhio coglie un oggetto con l’intenzione di volersene appropriare, allora la mano tira la coperta per avvicinare il giocattolo, oppure usa la sedia per affacciarsi alla finestra. Durante questo primo stadio di sviluppo, si commettono errori pedagogici molto gravi, con conseguenze imponderabili per il futuro sviluppo psichico del bambino. In genere si afferma che è irrequieto, è terribile, è pericoloso, o peggio, e gli impedisce di agire, il cielo non voglia picchiandolo.
Molti credono che l’unica soluzione esatta sia quella di “sbatterlo” seduto innanzi al televisore. Con questo sistema il piccolo non riesce ad integrarsi con l’ambiente, e di conseguenza non arriva a porre le basi per il futuro sviluppo. Ad un anno d’età è già quasi perduto. Non crescerà più in modo equilibrato. Sarà impacciato, egoista, asociale, pretenzioso, non saprà esprimersi e non capirà mai niente. Qui la scuola non c’entra per niente. E’ solo un problema dei genitori.
Reg.) Credo che convenga terminare. Ti chiedo in ogni modo di dare qualche altro consiglio pratico, se ancora ce ne sarà bisogno.
Risp.) Grazie. Procediamo. Il tempo passa, è passato, ed il bambino è arrivato a 3-4 anni. Se negli anni precedenti non è stato abituato a manipolare per rendersi conto della realtà che lo circonda, ma costretto invece, all’immobilità su una poltrona, sarà diventato così nervoso e pericoloso, che i genitori incominciano a pensare alla Scuola Materna o ad una baby-sitter, pur di toglierselo di torno mezza giornata. Purtroppo a questo punto il cervello del bambino è già quasi totalmente bruciato, ed è incapace d’apprendere, per il fatto che la vita mentale nasce e si sviluppa dall’interiorizzazione della vita pratica. Se non ha avuto vita pratica, non ci sarà mai vita intellettuale. E’ noto che alcune nozioni sono accessibili all’intelletto solo mediante l’interiorizzazione delle proprie esperienze, e se queste mancassero o sono state impedite, è difficile proseguire, anche se l’insegnante scolastico fosse qualificato. Ma se si aggiunge anche lui, dite voi lettori, cosa succederà al giovane. Tuttavia, i genitori, prima di lamentarsi dell’insuccesso scolastico dei figli, raccontino dettagliatamente come li hanno cresciuti nei primi anni.
Dalla culla alla morte, non c’è interruzione di sviluppo, in nessun momento. Non esiste un periodo della vita in cui una facoltà è acquisita senza il supporto di quelle precedenti. Non può esserci interruzione durante il percorso, e se l’interruzione è procurata intenzionalmente, anche se per ignoranza, da quel momento si blocca lo sviluppo, ed inizia la fase discendente, irrimediabilmente. Vi offro un paragone parlante. Una volta messo il seme nel terreno, la pianta inizia il suo sviluppo fino alla maturità, per produrre un altro seme. Poi lentamente la pianta deperisce e muore. In filosofia si dice: passare dalla potenza all’atto con parabola ascendente. Al culmine dell’atto, inizia la parabola discendente fino alla corruzione, fino alla fine. Ora, se in un periodo qualsiasi della parabola ascendente della pianta, in altre parole durante lo sviluppo, si mette la pianticella sotto una campana e si lascia senza luce né acqua, in breve tempo deperisce e muore. Non raggiungerà mai più il suo completo sviluppo, essendo stato interrotto in un periodo intermedio della parabola ascendente.
Allo stesso modo con il bambino. Se in un momento qualsiasi del suo sviluppo, gli priviamo di giocare per esempio, gli impediamo di acquisire il concetto di rapporto, di quantità, di misura, di forma, ecc, giacché quei concetti potevano e dovevano essere appresi solo in quel particolare momento della vita, una volta bloccato e seduto in poltrona davanti alla TV, passa il giusto momento e quelle nozioni non entreranno mai più nella sua mente.
Si arresta la parabola ascendente, si blocca lo sviluppo, e non si potrà andare oltre perché mancheranno sempre quelle basi. Se ad esempio, si è creato nel bambino un odio innato per la matematica, gli sforzi dei maestri più qualificati, faranno solo un buco nell’acqua. Il bambino e il giovane poi, non capirà mai niente a vita. Dopo questo danno, la beffa consiste che gli si vuol fare frequentare ingegneria, medicina, o accademia militare. I genitori non si lamentino, per favore, dell’insuccesso dei loro figli e non diano la colpa alla scuola. Gli insegnanti da parte loro, non facciano finta di non capire come mai lo studente non rende, e aggiungono la loro parte.
Attenzione: Non sono i giovani il nostro problema.
Siamo noi il loro problema.
Ho finito. Grazie per l’attenzione e scusate la franchezza. Sto scrivendo in difesa dei giovani.
Bibliografia.
Psicologia dell’intelligenza, Universitaria, Firenze 1952.
Il linguaggio e il pensiero del fanciullo, Universitaria, Firenze 1955.
Giudizio e ragionamento nel bambino, La Nuova Italia, Firenze 1958.
Lo sviluppo mentale del bambino, Einaudi, Torino 1967.
La nascita dell’intelligenza nel fanciullo, Giunti Barbera, Firenze 1968.


Antonino Cappiello - Sorrento, martedì 11 dicembre 2007

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